Oggi come oggi non riusciamo a immaginare che, ad esempio, nel Seicento, ci fosse un florido mercato del pesce sul Lago Maggiore che serviva quello di Milano.
Ne presi coscienza quando, ai primi di giugno del 1604, il mio Notaio, che aveva studio in Angera, mi disse, papale papale: “Sabato dobbiamo essere a Pallanza per un atto.”
Io, di rimando: “Ma, signor Notaio, dobbiamo andare al di là del lago e correre il rischio di fare la fine del romito Besozzi? Lei sa bene che le acque del lago ed i venti che si scaricano sopra non sono affidabili. Devo fare testamento a favore della mamma, anche se lascio poche cose? Va’ bene che lei potrebbe farmelo gratis, ma…”
“Non fare il bamba, fidati.”
Sabato 6 giugno del 1604, ero a Pallanza al seguito del mio Notaio per assistere ed annotare una convenzione tra Matteo Martinoli del fu Domenico di Locarno, giurisdizione degli Elvetici, e Francesco Aicardi di Pietro di Angera.
Prendiamo nota del triangolo: Pallanza, Locarno, Angera.
“Convengono che il suddetto Martinoli sia tenuto e obligato a dare e vendere tutta la quantità di pesce: tinche, lucci, persici, arborelle che lui e i suoi compagni potranno pigliare o comperare sopra il lago e nel territorio di Locarno e consegnarlo…ogni settimana, nei giorni soliti, a Caldè di Valtravaglia [un quadrilatero: Pallanza, Locarno, Caldè, Angera] nel qual luogo detto Aicardi [quello di Angera] sarà tenuto d’andarlo a pigliare, pesarlo, riceverlo e pagarlo, a patto che detto pesce sia vivo ovvero fresco di maniera che si possa mandare alla città di Milano [e cinque: Pallanza, Locarno, Caldè, Angera, Milano] buono di poter essere venduto come al solito.”
A partire dal fondo: come al solito, ovvero una pratica commerciale in atto da tempo.
Per quale via farlo giungere alla città di Milano buono di poter essere venduto?
Siamo a giugno, la stagione è già avanzata. Avranno dovuto ricorrere al ghiaccio delle ghiacciaie per mantenere la freschezza del pesce.
Il tragitto? Penso via lago, come i marmi della Fabbrica del Duomo, però pagando il dazio a Sesto e non viaggiando AUF: i marmi del Duomo non pagavano dazio, ed erano marcati Ad Usum Fabricae.
Ma tutto il pescato del lago Maggiore non era un diritto dei Borromei fin dalla metà del Quattrocento? “Vitaliano Borromeo XI può legalmente esercitare il proprio diritto esclusivo di pesca sul 50% del Lago Maggiore, circa 90 chilometri quadrati,… parte svizzera esclusa.”
Fu così che si aggirò il diritto dei Borromei operando in quel di Locarno, su quelle acque ecc. ecc. e stilando l’atto nelle terre dei Piemontesi.
Di che sorti de pesci che produce questo Lago ne scrive Paolo Morigia nella sua Historia della nobiltà del lago Maggiore (1603). Il primo è la trota, che si piglia in grande abbondanza e che quelli di Locarno neppure vedevano. Poi la carpa, il tèmolo nobilissimo e delicato, il persico, i lucci e le tinche, l’agone, la bottatrice, il balbo, il cavedano, il pigo ed infine le arborelle. Ultima deliziosa aggiunta: i gamberi grossi e delicati. Oggi si va a Milano a prendere il pesce di mare.
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