Cosa farà Conte, ormai padrone definitivo dei post Cinquestelle, importa poco/zero. L’Adpi (Avvocato del popolo italiano) dicesi progressista, poi non di sinistra, infine chissachilosà. Faccia come gli pare. Lo penseranno anche molti dei suoi residuali elettori. Lui per lui, loro per loro. Tradotto: se non li convince -ed è difficile che li convincerà- andranno per altre strade. Possibili approdi a destra o a sinistra, indifferentemente: l’M5S nacque né di qua né di là. Poi stette di là e di qua. Infine alimentando, sentenziano gli esperti, il fenomeno astensionista, derivato del qualunquismo contemporaneo: stufa di dar retta a chi mutava troppe e radicali opinioni, una frangia d’elettori ha smesso d’esserlo. Boh se ricomincerà a metter la scheda nell’urna, boh su come lo farà, boh sul destino d’un consenso -vòltosi in dissenso- ormai restìo a manifestarsi.
Non solo su quel fronte. Anche, capitombolando altrove, sul fronte leghista. Dove le sorti di Salvini importano sempre di meno a sempre più gente. Glielo diranno probabilmente vis-à-vis al congresso lombardo di domenica prossima, dove il vincitore annunciato è un fedele/critico, il capogruppo al Senato Massimiliano Romeo. Portavoce-soft dei tanti che vorrebbero dire con felpata ruvidità al Capitano di smettere le chiacchiere nazional-sovraniste tornando a parole, umori, questioni a prevalenza settentrionali. Non un recupero ab ovo del Carroccio bossiano, così d’improvviso, però basta con avanzate, zigzaghismi, spericolatezze nient’affatto confacenti alla base largo-padana.
Anche da quest’area è venuta la dissociazione dal dovere di votare. Fiduciosi in una bandiera, i militanti e/o simpatizzanti se la son vista cambiare di sventolìo e han pensato, avec les boules tournées, di rimanere a casa. Uscendovi, dove andranno? Pure qui, possibili vie di sfogo sia a destra sia a sinistra. Più a destra, come attesta il gran vantaggio preso alle politiche ’22 dalla Meloni, che del bastasalvinismo s’è giovata. Porre un freno all’emorragia di sostegno nazionale (non fosse per Vannacci, chissà che baratro) sarà il richiamo a un leader che da tempo non ritrova il guizzo capace di reinvestirlo nel ruolo. Poi, se ce la fa, bene. Se non ce la fa, avanti un sostituto. Proprio come nel caso di Conte.
L’elettorato è più che mobile: mobilissimo. Fila scheggiando da un versante all’altro secondo le circostanze. Sia Conte sia Salvini proveranno ad alzare il segnale di stop. Ma il problema è la ripartenza: come, con chi, per dove. Operazione meno ostica al leghista, se si persuade che il futuro è un buon gregariato alla Meloni e l’armonia con Tajani. Di più al successore di Grillo, che non si persuaderà mai -dando retta alle sue parole- a doversi derubricare in vassallo della Schlein.
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