Molte vite fa ero aiutante, giovine di studio, di un notaio. Lo accompagnavo a fare gli inventari nella casa di un defunto o di una defunta, per avviare le pratiche della successione. C’era sempre da imparare.
Venerdì primo ottobre del 1621… (vi avverto che trascrivo documenti da me rinvenuti nelle carte del notaio Modesto Dralli di Varese, secolo diciassettesimo, presso l’Archivio di Stato di Milano, via Senato. Pubblicati nel 1981 dalle Edizioni Lativa di Varese nel volume intitolato L’ora stravagante. Li rielaboro con qualche divagazione, ma la trama è quella documentata).
…andiamo nella casa della defunta Marta Ponzini, del fu Antonio.
La conoscevo bene, quella donnina, sempre indaffarata a tener dietro alla casa, disponibile ad ogni richiesta di dare una mano ai vicini. Povera donnina. Vediamo come viveva.
“Nella cucina da basso della casa d’abitazione della defunta, una catena per il fuoco, di ferro, lunga quasi quattro braccia; un caldaro buono di rame che tiene più di mezza secchia; una padella di rame da arrostire; un laveggio piccolo di pietra; una scorbetta buona e un cavagno; un cestino pieno di noci; uno staio di mergone gialdo in un sacco nuovo; un cassone all’antica, frusto, con dentro uno staio di miglio e di miglione.”
Tutto pronto per avviare la giornata, con le cose al loro posto, le noci fresche, appena bacchiate, la padella di rame per far andare un arrosto il cui profumino aleggiava per la cucina ed usciva per strada, tanto da far dire a chi passava: “Oggi la Marta fa festa”.
La scorbetta buona: ricordo la mia mamma quando la prendeva per i manici ed andavamo a fare la spesa.
E il cavagn…per portare a casa le patate dall’orto, o la verdura, il prezzemolo, il predezzem, e tanti altri profumi. Per non dimenticare i pomidoro rossi e caldi di sole, da affondarci i denti nella polpa stagna.
Nel caldaro buono di rame ci metteva più di mezzo secchio di acqua fresca, cavata dal pozzo fuori nel chiuso, e dentro a spaglio il mergone gialdo, tenuto da parte in un sacco nuovo. Improvvisamente… la morte. Tutte le cose sono pronte per essere usate e le mani della Marta non si muovono più.
Andiamo al piano di sopra.
“Nella camera sopra la cucina, una lettiera, frusta, con sopra il cadavere della defunta.”
O Signore, non ha fatto a tempo a diventare fredda che gli eredi le sono piombati addosso a far fare l’inventario di questa povera roba.
“ …con sopra il cadavere della defunta; una fodera piena di roba di lana; sette lenzuoli buoni e usati; undici camicie di donna di tela di canapa e una ancora nuova da fare; sette giubbetti di tela con la lattuga, usati; quattro braccia di tela nuova di canapa; un cassone usato all’antica che contiene tutta la roba elencata prima. Poi, legna da bruciare.”
Ci doveva essere un povero camino, di pietra appena sbozzata, altrimenti come faceva a scaldarsi la Marta? Forse con un braciere? E soldi, denari, niente? Ho pensato che sapendo che razza di nipoti lasciava, li aveva già dati al parroco per farsi dire quante messe poteva. Perché, se non ci pensava lei!
Nel tentativo di dare qualche risposta in più alla ricostruzione della povera casa della Marta, costruita non si dove ma in uno dei nostri borghi, vi dico che un braccio milanese misurava m.0.59; uno staio per i cereali equivaleva a ca. 20 kg.; il mergone giallo è il granoturco per fare la polenta; i sette giubbetti di tela, da notare uno al giorno, sono orlati dalla lattuga, cioè da una guarnizione di tela o di pizzo pieghettata al collo e/o ai polsi.
Quando li indossava la Marta era davvero una donnina a posto.
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