Ha stupito che la banana di Maurizio Cattelan sia di recente finita nelle fauci voraci del miliardario cinese Justin Sun, che l’ha morsa con viva soddisfazione sotto gli occhi dei riflettori puntati su di lui.
Dopo aver pagato l’opera Comedian da Sotheby’s ben 6,2 milioni di dollari, s’è levato subito per lui, il re del bitcoin, il coro di disapprovazione. Anche perché nel frattempo il valore dell’installazione, così povera nella sua materialità, è finito alle stelle.
In realtà già in precedenza era successo che la banana, esposta e fissata al muro da un adesivo color argento, venisse mangiata: ma questo era in partenza nei voti dei collezionisti e dell’autore. Come ogni artista – e Cattelan (1960) certo lo è, perché la sua storia personale lo insegna- desidera soprattutto che tra autore e osservatore scatti la scintilla, senza la quale la realizzazione non vive. Notava già Duchamp che l’opera d’arte non ha vita se non in quanto entra negli occhi e nell’anima di chi la guarda. Pazienza se uno studente di Seul abbia ingollato identico frutto di una delle tre copie della installazione cattelaniana Comedian, motivandone la decisione per pura fame: all’artista, ha spiegato Cattelan, può andar bene anche così. Purché avvenga l’incontro. Del resto la fame è spesso stata, e lo è ancora, compagna della creatività d’un maestro. O, a sua volta, conseguenza proprio della mancanza di incontro tra lui e il suo pubblico.
Certo i capricci di un’asticella valoriale dell’arte che si alza e abbassa vertiginosamente, seguendo le stramberie di artisti e collezionisti, può infastidire; tanto più oggi, quando il sospetto del passaparola mediatico, gonfiato a dismisura dai social, riporta a momenti d’indimenticabile furberia e cinismo di chi ha fame di soldi e notorietà. Mentre gli stipendi di molti non concedono il pane quotidiano.
Ma ironia, provocazione e ricerca della nuda verità sono da sempre alla base di molte opere di grandi artisti, da Manet a Magritte, a Duchamp, a Warhol, per citarne alcuni. Allusioni, simbolismi, e tanto altro si rincorrono nell’opera di Cattelan: abbiamo tutti presente il suo L.O.V.E. (Libertà, Odio, Vendetta, Eternità) del 2010, la gigantesca mano in marmo di Carrara con le dita mancanti -tranne il medio- che si leva davanti a palazzo Mezzanotte, sede della Borsa milanese, in Piazza degli Affari a Milano.
E chi non ha visto Him, il piccolo Hitler inginocchiato in preghiera, realizzato in resina e cera, capelli umani e occhi commossi, esposto al ghetto di Varsavia nel 2012 e in diverse mostre, poi battuto all’asta nel 2016 per 17,2 milioni di dollari?
Ma, ancora prima, emoziona l’opera del 1999, La nona ora: scultura raffigurante Papa Giovanni Paolo II, a terra, colpito da un enorme meteorite. Qualcuno lo vide come lavoro dissacrante: in realtà la forza del pontefice, allora vivente, sopravvissuto a un attentato e in lotta col Parkinson, si manifesta pienamente in tanta drammatica narrazione, omaggio altissimo a un uomo scelto da Dio perché condividesse il peso della croce. Anche nell’ora nona, le quindici di oggi, l’ora della morte di Cristo.
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