Cosa chiedere al nuovo prevosto che s’insedia a Varese? Nulla ch’egli non abbia già nel suo carnet parrocchiale/bosino. E poi: chi siamo noi, poverelli editoriali, per indicargli il dire o fare? Nessuno. Proprio nessuno. Tuttavia un sentimento naturale vien su dalle anime di fedeli e non fedeli. Dai quisque de populo. E qui vale raccoglierlo/testimoniarlo, anzi corre l’obbligo d’esprimerlo.
Varese non sta peggio d’altre città circa rapporti sociali, profilo economico, difese di sicurezza. Anzi, le classifiche son lì a documentare che sta un po’ meglio. Magari vien segnalato il regresso in un comparto, però bilanciato da avanzate in altri. La sintesi è che tendiamo al vantaggio, non al pareggio e tantomeno alla sconfitta. Però.
Però i tempi difficili/inquieti sono tali da auspicare un rapporto sempre più saldo fra autorità civili, politiche, religiose. L’armonia ha prevalso, come no, nelle epoche trascorse. Collaborazione, intese, progetti. Tensione comunitaria verso un futuro di progresso. Ora sopravviene l’appello a una sorta di funzione municipale (absit iniuria) di chi governa la chiesa. Non sorridete: mica ci s’immagina un sindaco-bis da affiancare al sindaco titolare della carica. Ma ci si augura un sindaco dell’intimismo spirituale, nel senso d’una sua corrispondenza forte con le nostre fragilità. Con le fragilità pubbliche.
Il don di San Vittore sarà già/farà già il sindaco dell’intimismo spirituale, nell’azione di alto sacerdozio da cui è atteso. Può esserlo e farlo di più in quella concertabile/desiderabile assieme all’inquilino di Palazzo Estense. Di fronte (1) a smarrimenti al cospetto del sacro, a scarti di sensibilità civica, a deresponsabilizzazioni familiari, a scivolate verso l’individualismo artificiale dei social che mette la sordina alle vere relazioni umane; di fronte (2) a un crescente tot di turbamento/pericolo per l’orizzonte della polis, la preghiera laica è di serrare il patto fra chi presiede ai nostri destini. Materiali e immateriali. Non sembra una chiacchiera bolsa, a valutare la fila d’episodi negativi che inquinano il faticoso lavoro della mano pubblica. E nemmeno a valutare la defezione -per fortuna parziale- nelle chiese, luoghi dove la cristianità recupera, caso mai le capiti di smarrirne talvolta la traccia, l’afflato sociale.
E dunque. Al nuovo prevosto di Varese non possiamo chiedere nulla ch’egli non abbia già nel suo carnet parrocchiale/bosino. Ma tutti noi abbiamo il dovere di segnalargli uno stato d’animo. Uno stato delle cose. Uno stato di malessere. Uno stato di speranza. In breve: lo status-cuore, bisognoso di attenzione, riguardo, premure. Buon lavoro a Gabriele Gioia.
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