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Chiesa

MOLTI CHIAMATI, POCHI ELETTI

MASSIMO CRESPI - 22/06/2012

Gesù riprese a parlar loro in parabole e disse: “Il regno dei cieli è simile a un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non vollero venire. Di nuovo mandò altri servi a dire: Ecco ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e i miei animali ingrassati sono già macellati e tutto è pronto; venite alle nozze. Ma costoro non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò e, mandate le sue truppe, uccise quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. Poi disse ai suoi servi: Il banchetto nuziale è pronto, ma gli invitati non ne erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze. Usciti nelle strade, quei servi raccolsero quanti ne trovarono, buoni e cattivi, e la sala si riempì di commensali. Il re entrò per vedere i commensali e, scorto un tale che non indossava l’abito nuziale, gli disse: Amico, come hai potuto entrare qui senz’abito nuziale? Ed egli ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti”. (Matteo 22, 1-14)

 

Questa parabola raccontata attraverso Matteo non è che la descrizione della chiamata al regno dei cieli, cioè della chiamata alla stabilizzazione degli uomini nella dimensione divina rappresentata da Gesù, proposta a tutti coloro che sin da subito possono optare per l’accettazione dell’invito di Dio: venire presso di lui, godere dei suoi beni preparati da tempo con cura, con attenzione: “Ecco ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e i miei animali ingrassati sono già macellati e tutto è pronto”. Quel regno non è di un altro mondo, lontano, difficile da raggiungere, ma del mondo che è qua, alla portata di chi deve solo venirci volentieri, senza sforzo, osservandone solamente l’ubicazione (la “sala” dove si banchetterà) e la condizione ( le “nozze” del figlio del re); pertanto vestendosi con adeguatezza, avendo “l’abito nuziale” migliore proprio per le circostanze dette. È sottinteso che ci si riferisce più di ogni altra cosa alle vesti interiori, predisposte per la festa, degne dell’evento speciale ed unico; cioè curate e sfoggiate nell’intento di rendere felici i presenti, mettendoli nelle condizioni di apprezzare la partecipazione degli invitati con le loro gradevoli personalità, senza finzioni, false testimonianze d’affetto, finte partecipazioni. Il re evangelico (Dio Padre) scorge quel “tale” che non indossa l’abito che testimonia d’omaggiare gli sposi (Cristo, Figlio di Dio, con la sua Chiesa), di volere loro bene, perché finge di partecipare della letizia nuziale, ma non ne porta la veste giusta, rivelando così d’esser lì per motivi diversi, non riguardanti l’amore per l’unione tra coloro che gli sono vicini (l’uomo Salvatore e la Comunità che lo vuole per sé e per sempre). Quel tale si riconosce tra gli invitati perché veste male ed ha lo spirito di uno straccione, sporco, viscido, maleodorante. Egli, il re, non si inalbera, ma lo chiama: “Amico, come hai potuto entrare qui senz’abito nuziale?”, domandandogli di giustificarsi, inducendolo a pentirsi prima di decidere la conseguenza di quell’affronto sfacciato: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre”; tuttavia la risposta non giunge: “Ed egli ammutolì”. Dio ci dona la possibilità di spiegarci volendo comprendere le motivazioni dell’errore e dell’oltraggio commesso quando partecipiamo della vita religiosa, della liturgia festiva, consapevoli della nostra manchevolezza. Chiediamoci come possiamo prender parte e entrare nei luoghi dove si fa la Comunione senza averne diritto, senza l’atto di devozione che ci conforma alla Chiesa cristiana aderendovi nell’intimo, nell’interiorità prima ancora che esternamente; e prendere l’Eucaristia poi, che è sposare Gesù, senza volerlo davvero o, peggio, senza conoscere che è lui lo Sposo, noi la Sposa? Stare zitti non ci salva; ammutolirci nemmeno.

Dio chiama “tutti” per la festa, tutti coloro che i suoi servi troveranno, raccoglieranno nei crocicchi delle strade del mondo, buoni e cattivi, i quali liberamente potranno scegliere di venire e festeggiare l’amore per l’uomo offerto per l’eternità, poiché lo sposalizio regale è costante e continuo. Però molti, i primi ad essere chiamati, non se ne curano; vanno ognuno al proprio orticello o al proprio ufficio o tolgono persino di mezzo la fonte della chiamata, annullando chi li distrae e prova a convincerli della bontà dell’invito a nozze rivolto loro: “Ma costoro non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero”. Qui il giudizio del re divino si fa duro: “Allora il re si indignò e, mandate le sue truppe, uccise quegli assassini e diede alle fiamme la loro città”. Quanti invitati ribellandosi rischiano questa fine, la morte dell’anima bruciata assieme al cadavere per la colpa d’aver reciso sul nascere tutti i fiori che emanavano profumi del Paradiso? Di fiori si tratta. Quei servi inviati dal Signore sono presenze vive che annunciano la bellezza della verità attraverso la predicazione della Parola, attraverso la testimonianza dell’eterna primavera che ci attende e della promessa che saremo felici. Quei servi siamo noi quando proponiamo di festeggiare con il Signore, eppure quegli invitati siamo noi quando facciamo spallucce e trascuriamo le feste del Signore, fregandocene ed ammazzando ogni tentativo di richiamarci cristiani.

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