Le parole non mancano. Ma, appunto, sono parole. Come avevamo previsto due settimane fa, davanti allo spauracchio del ricorso governativo allo strumento del “golden power”, i proprietari turchi della Beko. ovvero la Arcelik, non hanno fatto un plissé. Lo scorso 20 novembre hanno presentato a governo e sindacati il piano industriale per l’Italia. E sono numeri pesantissimi: 1935 esuberi su un totale di 4400 dipendenti. E di questi, un numero compreso tra gli 800 e i 900 saranno i tagli sul Lago di Varese.
In questa amarissima contabilità, il prossimo anno chiuderanno la fabbrica di Siena dei congelatori, quella di lavatrici di Comunanza (Ascoli Piceno, una delle fabbriche ex Indesit), rispettivamente con 290 e 320 occupati. Poi, a Cassinetta (duemila dipendenti) la chiusura di tre delle cinque linee produttrici di frigoriferi porterà a 541 tagli. A questi si sommano 66 posti che saltano a Melano, presso Fabriano (Piani cottura), 40 a Carinaro, nel Casertano (ricambi e ricondizionamento prodotti). E agli operai degli stabilimenti si aggiungono 700 impiegati, dirigenti e addetti alla ricerca e sviluppo. Proprio l’incertezza sul numero dei camici bianchi e dirigenti, lascia ancora parzialmente indefiniti i numeri “varesini” di Cassinetta.
Un “massacro” che arriva dopo periodi di cassa integrazione perché il mercato non tira, la concorrenza è sempre più incisiva e la sovraproduzione è strutturale. Solo a Cassinetta, riconoscono i sindacati provinciali, “si è scesi da 2 milioni di pezzi prodotti un paio d’anni fa a 1 milione e 400 mila l’ultimo anno”. Il Ministero del Made in Italy ha bollato il piano come “irricevibile” e, anche se un nuovo incontro è previsto il 10 dicembre, non si profilano scenari nuovi.
Le domande sono più di una. La prima: come si è arrivati a questo punto? Le ragioni sono diverse e in parte generali di mercato: l’Europa è un continente dove la popolazione non cresce e invecchia, così la domanda ristagna. Gli anni del Covid avevano frenato altri tipi di spese, viaggi e vacanze in primis: il risultato è che si è speso di più per elettrodomestici, ma il colpo di acceleratore del 2021-2022 è stato seguito dalla frenata. In più la difficoltà dell’economia e l’aumento degli interessi hanno pesato sul mercato immobiliare, quindi meno nuove cucine. A questo si aggiunga l’accresciuta concorrenza soprattutto asiatica.
La seconda è: possibile che a pochi mesi dal passaggio delle attività europee di Whirlpool ai Turchi di Arcelik-Beko si scopra che le stime di inizio anno erano “gonfiate”? Già a fine ottobre 2023 sul Financial Times, Arcelik paventava un calo del mercato europeo del 5-10%. Whirlpool, uscita già dal mercato cinese, ha fatto fare ai nuovi acquirenti il lavoro del boia con i licenziamenti di massa (oltre a quelli italiani, 140 in Gran Bretagna, 1800 in Polonia)?
Terza domanda: che succede agli altri produttori? Le previsioni di crescita del mercato mondiale degli elettrodomestici del 4-6% all’anno fino al 2030 sembrano tramontate, soprattutto nel vecchio continente. Whirlpool non è l’unica in difficoltà. Anche l’altro grande gruppo radicato in Italia, la svedese Electrolux, vive momenti difficili. Fine degli elettrodomestici europei? C’é anche un problema di posizionamento. Se Beko era ed è un fornitore relativamente a basso costo (e con 14 fabbriche nella sola Turchia), così come il gigante cinese Midea, altri protagonisti come la stessa cinese Haier o le coreane Samsung ed LG, hanno conquistato segmenti sempre più “a valore” con l’integrazione tecnologica.
Tra gli europei, non se la cava male Bosch (BSH). Anzi Bosch, Whirlpool ed Electrolux hanno dimensioni simili per fatturato (13-15 miliardi di euro), dipendenti (50-55 mila), ma il gruppo tedesco ha risentito meno della pressione sui prezzi e volumi. Questo, grazie anche a un impegno decisamente superiore nella ricerca e sviluppo, che negli ultimi due anni è stato doppio (circa 850 milioni di euro) rispetto a Whirlpool. Senza contare che l’intero Gruppo Bosch con tutte le sue attività ha un budget di R&S sterminato: 7 miliardi di euro)
Che fare? La crisi non è solo di Cassinetta, ma italiana ed europea. Il Golden Power, pensato per tutelare le industrie strategiche, ha poca possibilità di svolgere un ruolo, anche perché qui non sono in gioco cessioni o acquisizioni dove dare o meno luce verde. Di fronte a impianti che lavorano si e non al 40%, è un’arma spuntata. A Napoli, la chiusura della fabbrica di lavatrici Whirlpool portò nel 2022 alla cessione dell’impianto alla Zona Economica Speciale e da questa alla Tea Tek, che, previa ristrutturazione dell’impianto (72 milioni di euro) sta per avviare la produzione di pannelli solari, con 300 addetti. La “ZES”, però, non è possibile se non in aree disagiate. Portare “nuove attività” diverse da quelle attuali in ambito Beko a Cassinetta sembra difficile anche se non impossibile. Più che il bastone (la minaccia svuotata “Golden Power”) potrebbe servire la carota. Per esempio, incentivi nella foma di aiuti alla ricerca, riqualificazione del personale per nuove produzioni, con o senza Beko. Potrebbero essere la strada più ragionevole. Forse l’unica.
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