L’aneddoto che mi accingo a raccontare è accaduto in Spagna negli anni ‘80. Eravamo andati con alcune classi seste della Scuola Europea di Varese a Barcellona, ma la preparazione della gita scolastica purtroppo non era stata accurata, come del resto accadeva allora.
Avevo potuto dare poche spiegazioni sul viaggio e fare solo alcune raccomandazioni ai miei alunni della sezione italiana, lingua materna e a quelli stranieri, che seguivano le mie lezioni d’italiano, lingua seconda.
Con i colleghi accompagnatori delle altre sezioni avevo potuto concordare un comportamento di massima da stabilire con gli studenti: rispetto di alcune regole fondamentali, quali la puntualità, una certa disciplina da tenere in giro e nell’albergo e la non trasgressione delle consegne stabilite.
Eravamo alloggiati in un piccolo centro rivierasco, nei pressi di Barcellona a poche centinaia di metri dal mare, in accoglienti mini-appartamenti di un residence.
Tutto nei primi giorni si era svolto normalmente e i ragazzi per lo più si erano attenuti alle regole concordate, ma una mattina alcuni studenti della sezione tedesca fecero attendere più del solito l’autobus che ci aspettava per condurci al museo di Salvador Dalì .
Poiché tra loro c’erano due miei studenti che frequentavano il corso d’italiano lingua straniera volli vederci un po’ più chiaro perché non mi avevano convinto alcune delle spiegazioni fornite circa lo strano ritardo. Così durante il viaggio mi sedetti vicino e cominciai ad osservarli attentamente, rivolgendo loro qualche domanda apparentemente oziosa. Mi accorsi subito che tutti avevano gli occhi arrossati, e della salsedine sulle braccia.
Pensai che il rossore degli occhi potesse derivare da sabbia e/o acqua salata; insomma mi ero fatto l’idea che la notte precedente non avessero dormito che pochissimo a letto; e che si fossero recati invece in spiaggia a fare un bagno notturno in compagnia. Così rivolto ad una delle ragazze tedesche chiesi: “Come era l’acqua del mare la notte scorsa?” e lei di rimando e sorridendo: “Non molto calda prof, ma piacevole”. Non dissi niente, ma aspettai di parlare con il ragazzo, che consideravo l’organizzatore dell’escursione notturna. Lo trovai, durante la pausa – pranzo e gli comunicai con una certa sorpresa che avevo saputo del bagno notturno. “Beh, sì prof., che vuole, è bello trasgredire, e fare qualcosa di eccezionale, sennò che gita è, noi ci vogliamo divertire, non le pare?”
“Siete andati senza avvisare nessuno, dopo aver mangiato gli spaghetti in camera, con la pancia piena, ma non avete pensato che vi potesse venire una congestione? E se vi fosse successo qualcosa? se qualcuno di voi si fosse sentito male? Lo sai che gli accompagnatori sono responsabili penalmente della vostra incolumità”? E lui senza scomporsi più di tanto: “Ma noi siamo maggiorenni e poi prof, è sempre bello farla sotto il naso ai professori, c’è più gusto!”
“Tu dici, caro Franz? (un nome di pura fantasia); ma fai attenzione: “errare è umano, ma perseverare…”, ricordati: “a furbo, furbo e mezzo”. Ma, vista la sua arroganza e baldanza credo che non avesse compreso appieno il senso del mio avvertimento.
L’indomani dopo aver fatto una visita alla casa di Picasso e alle Ramblas, abbiamo cenato in un bel ristorantino tipico catalano, e poi la sera siamo andati sino alle 24.00 in una discoteca. Rientrati nel residence abbiamo raccomandato a tutti di ritirarsi nelle proprie camere e riposare. Ero però quasi certo che il nostro caro Franz avesse voglia di farne una delle sue, considerando anche che era l’ultima notte a Barcellona. Verso le tre di notte, il residence fu svegliato dai latrati e dalle ringhiate di cani e da fortissime grida d’aiuto: “Hilfe!, Hilfe, aiuto, aiuto!”. Non ero a letto, ma ero rimasto a vigilare, chiacchierando e bevendo un buon bicchiere di vino Rioja con il custode perché ero sicuro di “beccare i miei cari furbetti”. Il custode ed io ci recammo subito verso cancello d’uscita dove trovammo i due alani ritti sulle zampe posteriori intenti a bloccare, spalle al muro, il nostro povero Franz e la sua amica terrorizzati ed imploranti.
Il custode richiamò con un fischio i due cani che ubbidienti lasciarono la presa e si accucciarono ai suoi piedi. I due ragazzi spaventati e scioccati, cercarono di farfugliare qualche confusa spiegazione e poi un po’ vergognosi si allontanarono. Non so se stavano realizzando in quel preciso momento che io, prevedendo quello che sarebbe successo, avevo chiesto al custode, di liberare per quell’ultima notte i due cani di guardia al residence. Prima di allora avevo chiesto di tenere legati i due cani, temendo che lasciati liberi di circolare potessero azzannare qualche incauto ed ignaro nostro studente. I due alani erano stati addestrati a vigilare e ad impedire la circolazione e l’uscita dal residence ai “non addetti ai servizi e ai non autorizzati e ai malintenzionati” come mi disse il custode”.
Forse in quel momento il nostro povero studente tedesco e la sua simpatica amica, ”ignari di sé stessi e del mondo,” mentre si ritiravano nelle loro rispettive camere avranno probabilmente compreso a pieno il senso del mio avvertimento: “A furbo, furbo e mezzo”, che in un primo momento avevano liquidato con un sorriso di sufficienza.
Credo che mai detto italiano sia stato appreso da studenti d’italiano lingua straniera, in modo così efficace ed indelebile. E chissà forse in seguito, ritornando sull’episodio e riflettendo sulla lezione loro impartita, avranno avuto modo di comprendere a pieno il senso di quell’ammonizione di F. Scott Fitzgerald secondo, che di tanto intanto ricordavo loro durante le lezioni: “L’educazione o la si impara in casa propria e a scuola o il mondo la insegna con la frusta e ci può far male”. E forse avranno avuto modo di rivedere pure quella falsa convinzione che porta spesso gli studenti a considerare i loro professori, come se non fossero stati mai giovani o se lo siano stati, come se fossero vissuti sempre da “vecchi”, adulti, responsabili, “secchioni” proni alle regole, “stinchi di santo”, cui si può loro impunemente farla sotto il naso; ah! se gioventù sapesse… altro che stinchi di santo!
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