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Storia

GABRIELE SALVATO DA AUSCHWITZ

CESARE CHIERICATI - 22/11/2024

Don Carlo Sonzini e suor Lina Manni; sullo sfondo Casa San Giuseppe

Don Carlo Sonzini e suor Lina Manni; sullo sfondo Casa San Giuseppe

Aveva quattro anni quando nel dicembre del 1943 Gabriele Balcone fu protagonista di una rocambolesca vicenda di straordinaria umanità varesina che gli salvò la vita. Una vita lunga ottantacinque anni chiusa l’8 agosto scorso nella lontana Australia, a Waverley, un sobborgo di Sydney dove era approdato nel 1948 con la mamma ebrea austriaca Edvige Epstein scampata, come Liliana Segre, all’orrore di Auschwitz. Ebreo misto anche il piccolo Gabriele, figlio del commerciante milanese Angelo Balcone, rischiò la deportazione e la morte dopo essere stato catturato mentre era diretto in Svizzera, insieme con i suoi famigliari, in prossimità di Germignaga, a due passi da Luino. In loro compagnia vi era anche un’amica di mamma Edvige, un’insegnante ebrea austriaca, Luisa Schlesinger, segnata da una zoppia, che trovò invece la morte appena giunta nel campo di sterminio nazista il 6 febbraio 1944.

In una certa misura quella della famiglia Balcone fu una vicenda simbolo di quanto stava accadendo a Varese e nel Varesotto. Lungo la frontiera con la Svizzera, relativamente facile da raggiungere, si erano ammassati sei-settemila ebrei in disperata fuga dalle leggi razziali mussoliniane (1938), braccati dalla caccia antisemita scatenata dalla polizia confinaria tedesca (Grenzwache) di stanza nel capoluogo nella villa Concordia – Zanoletti di via Solferino 8 e dalla Milizia Confinaria della neonata Repubblica sociale italiana.

Il piccolo gruppo era abbastanza tranquillo sul buon esito del programmato espatrio in Svizzera, avendo in precedenza raggiunto un accordo con i rappresentanti a Milano dei cosiddetti “passatori” i quali, in cambio di diecimila lire dell’epoca per persona, garantivano l’approdo in terra elvetica. All’ultimo momento però, quando le due donne e il bambino erano già a Varese in località Oronco, adducendo difficoltà logistiche “i passatori” ritoccarono al rialzo il prezzo del loro “servizio”. Questo accadeva mercoledì 8 dicembre 1943. L’indomani Edvige, Luisa e Gabriele, ancora ignari della difficoltà dell’ultima ora, raggiunsero in automobile, nei dintorni di Germignaga, l’Albergo Impero di proprietà di un certo Elio Cappelli, albergatore toscano di Vinci sfollato nel luinese. Verso le 19 di giovedì 9 dicembre i tre vennero raggiunti da Angelo Balcone. Spettava a lui il compito di mettere a fuoco con i “passatori” gli ultimi dettagli dell’agognato passaggio in Cantone Ticino. Annotati benevolmente come ariani nel registro degli ospiti, i quattro fuggiaschi si misero in strada, venerdì 10 dicembre, per incontrare le loro guide, ma all’altezza della “Trattoria del Ponte”, un luogo discosto, trovarono ad attenderli due agenti della Polizia fascista: Ferruccio Gambato e Guglielmo Satriani. Qualcuno gli aveva teso una trappola. Indiziato numero uno il Cappelli, il quale processato nel dopoguerra dalla Corte di Assise di Varese verrà assolto per insufficienza di prove.

Dopo essere stati consegnati alla polizia locale i Balcone vennero smistati al Comando tedesco di frontiera di Luino. Le accuse? Appartenenza a una razza nemica (articolo 7 della “Carta di Verona” della RSI) e tentativo di espatrio clandestino. I beni che la famiglia portava con sé furono confiscati, le due donne e il piccolo Gabriele associati ai Miogni di Varese. Angelo Balcone venne incarcerato invece al San Donnino di Como quindi a San Vittore e poi rilasciato. La casa di pena varesina risultò però sovraffollata. Edvige, Luisa e Gabriele in attesa di deportazione nei campi di sterminio nazisti, furono affidati alla Casa delle Ancelle di San Giuseppe in via Griffi, nel centro storico della città giardino; un’istituzione diretta con grande cristiana energia e civile coraggio da Madre Lina Manni. La notte del 21 dicembre 1943 don Natale Motta, instancabile e generosissimo punto di riferimento della Resistenza dei cattolici varesini, organizzò l‘evasione del bambino. Franco Giannantoni, storico della Resistenza, autore del libro “La Shoah, delitto italiano”, ricorda come sia stata un’azione straordinaria durante la quale Gabriele venne trasportato all’ospedale di Circolo di Varese fingendo l’urgenza di un’operazione chirurgica per un attacco di appendicite acuta. “Il ricovero immediato era stato prescritto dal professor Ambrogio Tenconi, primario del Reparto di pediatria. Un ruolo fondamentale nell’audace azione di salvataggio – ribadisce Giannantoni – fu svolto anche dagli studenti della Fuci (Federazione universitaria cattolica italiana): Mario Ossola poi sindaco di Varese, Francesco Moneta, Napoleone Rovera, Carlo Macchi, fratello di Don Pasquale poi segretario di Paolo VI. E l’ingegner Uccellini. Gabriele venne poi fatto uscire dall’Ospedale avvolto in una pesante coperta e infine trasferito in Brianza”.

La Shoah delitto italiano, Varese 1938 -1945, Franco Giannantoni, Edizioni Amici della Resistenza; Don Natale Motta e la storia di Gabriele, Dicembre 1943, Giuseppe Pirola

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