Rifare l’Ulivo come ai tempi di Prodi. O ripiantare la Quercia come all’epoca di Occhetto. Ecco l’orizzonte della sinistra sotto le dominanti fronde Pd, immagine che le elezioni d’Emilia Romagna e Umbria restituisce. Sostanzialmente: esercitare una dialogante, ma forte egemonia sugli altri partiti della coalizione, ridotti a cespugli o poco più. Non un atto d’imperio, e invece un mandato dei cittadini.
Questo compito tocca alla Schlein, né lei può disattenderlo. Altro che dar retta a Conte quando vuol discutere di chi deve guidare il gruppo antagonista dei meloniani. L’ex premier s’è rifatto un partito a sua misura, purtroppo perdendo voti e voti lungo la strada liquidatoria dei Cinquestelle delle origini. Ma è un partito, se non irrilevante, certo imparagonabile al Pd, di cui si deve contentare d’essere gregario. Ruolo affatto inutile, se bene interpretato: senza ottimali supporti, non c’è campione che vinca una gara. Compresa la gara al favore politico degl’italiani. Dunque Conte dovrà persuadersi, e la Schlein spingerlo a una decisione netta: o sta coi progressisti senza scarti improvvisi/improvvidi o tanti saluti. Inaccettabile un post M5S cui sia lecito scegliere di volta in volta, secondo opportunità e umore, come schierarsi. Meglio farne a meno, se il suo capo opterà per un mantra ambiguo. Non pochi ex elettori finiranno per abbandonarlo, forse/probabilmente approdando alla riva dei Dem.
Di sicuro un chiarimento in simile chiave va fatto con l’occhio verso le amministrative dell’anno prossimo (si rinnova la governance di alcune regioni, tre le quali Veneto, Campania, Toscana) e soprattutto verso le politiche 2027, perché sino ad allora la destra durerà a Chigi, nonostante il cambiamento del rapporto di forza nella maggioranza. Un centrosinistra in grado almeno di competere, e chissà se di vincere, dev’esser costruito sull’arco che va dai moderati del centro ai radicali del polo estremo. Ovvio che le differenze rimarranno (come dall’altra parte rimangono tra FdI, Forza Italia, Lega), ma il trait-d’union capace di valorizzarle in una sintesi virtuosa è l’unica speranza di successo. Incombenza ardua, difficoltà numerose, esito incerto: però va accettata, mancando altre chances.
La Schlein è chiamata a esprimere una leadership inclusiva/autorevole che s’inizi dalla miglior armonia dentro il Pd e si concluda nell’accoglimento di pragmatiche scelte sul fronte degli alleati. Il problema non è Conte. Il problema sono i conti da fare nel mondo reale: star lontani dal populismo, star vicini al popolo. Che magari si riesce a riportare alle urne in misura meno deficitaria di quanto accaduto recentemente. Rimandando in orbita il riformismo liberalsocialista. L’Ellysse, insomma.
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