Quando è arrivata la televisione negli anni ‘50 si disse che avrebbe ucciso la radio. Oggi l’arrivo del web non si può dire certo che abbia ucciso la televisione, anzi: in certi casi la salva. È questo il caso della nuova edizione de “La talpa”, il reality di Canale 5 dedicato a un gruppo di Vip tra i quali si nasconde un traditore, che ha lo scopo di sabotare la riuscita delle imprese del gruppo senza farsi scoprire. Si tratta di un format internazionale già andato in onda sugli schermi italiani di Raidue e poi di Italia Uno una quindicina di anni fa con la conduzione di Paola Perego.
In queste settimane “La talpa” è tornato, accolto da un tambureggiante cancan promozionale, sugli schermi dell’ammiraglia Mediaset condotto da Diletta Leotta.
La prima puntata è andata maluccio negli ascolti e la rete ha dovuto intervenire con un comunicato stampa in cui esaltava le performance social e streaming del progetto, che effettivamente nasce con l’etichetta della crossmedialità, un termine che gli addetti ai lavori utilizzano per identificare programmi che vivono di vita propria su diverse piattaforme, in ciascuna delle quali l’appassionato può trovare contenuti e sviluppi narrativi esclusivi. La precisazione dell’azienda, che ha magnificato la resa web del programma, è parsa a molti analisti il tentativo di dissimulare quella che è stata una resa – in termini di Auditel sulla TV generalista – molto bassa rispetto alle aspettative.
Le critiche degli utenti rispetto alle vecchie edizioni (ambientati e in luoghi esotici come il Messico), si sono concentrate sul fatto che il programma sia stato fatto decisamente al risparmio: non c’è la diretta, non c’è uno studio con la conduzione ma è tutta una registrazione, effettuata in una lussuosa villa del Lazio, montata in sei puntate; un aspetto che sicuramente consente di contenere i costi di produzione, ma dall’altro impatta e non poco sulla tensione della diretta e il fascino di uno studio che vive di vita propria rispetto al luogo fisico in cui si svolge reality. Il caso del Grande Fratello insegna come produzioni così costose debbano essere in grado di garantire una resa d’ascolti sicura e prolungata nel tempo: non a caso il reality condotto da Signorini va in onda ormai per 7/8 mesi all’anno e spesso con due puntate settimanali, proprio per ammortizzare i costi di una produzione che al giorno d’oggi possiamo tranquillamente definire faraonica. La logica di questi anni è il contenimento dei costi purchessia, gli spettatori se ne facciano una ragione; e se non gli sta bene, possono sempre andare sul web.
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