Prima ancora che la crisi di un importante settore dell’economia europea quella dell’industria automobilistica è la crisi della cultura illuministica che è tuttora alla base della cultura comune nell’Europa del nostro tempo.
Un elemento tipico di tale cultura è la tendenza a censurare la natura sistemica della realtà delle cose, e quindi a pensarla ed a comprimerla entro uno schema rettilineo censurandone il carattere tipicamente organico, reticolare.
Ogni interesse viene perciò considerato a sé stante, e non come parte dell’insieme di tutti gli interessi legittimi, e ogni problema viene ridotto ad una sola causa e ad una sola soluzione. Ciò vale più che mai nel caso dell’ambiente, e all’interno di esso nel caso delle emissioni prodotte dal consumo di combustibili fossili: una sola causa, i motori dei veicoli e una sola soluzione, l’impiego di motori che non ne consumano. E fra l’altro nessuna attenzione agli impianti di riscaldamento che evidentemente emettono molto come è dimostrato da come peggiora l’aria nelle grandi aree urbane quando vengono accesi.
Prescindendo da ogni altro fattore a monte e a valle dell’impiego dei motori, nell’Unione Europea con decisione unilaterale la Commissione ha perciò deciso di vietare i motori endotermici a partire dal 2035, l’Europarlamento ha approvato la decisione, gli Stati membri non si sono opposti, e la stessa industria automobilistica non ha opposto adeguata resistenza. Una decisione tanto più senza senso se si considera che l’Europa non è più uno dei due principali produttori e utilizzatori di auto come era fino a trent’anni fa. Oggi al primo posto in tale classifica è la Cina con il 32 per cento delle auto prodotte, seguita a distanza da Stati Uniti, Giappone, India. E nell’insieme l’Asia è il continente che ne produce e ne utilizza di più. La decisione di abbandonare i motori endotermici, invece di passare attraverso la fase intermedia dei motori ibridi, non ha evidentemente senso se non viene presa in tutto il mondo.
Più forte della ragione, del buon senso, delle diverse posizioni politiche e della stessa “legittima difesa” (dell’industria automobilistica) è stato insomma nell’Unione Europea lo schema rettilineo cui si accennava più sopra in forza del quale sono state ignorate tutte le difficoltà che sarebbero emerse a monte ed a valle dell’auto elettrica: dall’improvvisa necessità di milioni di batterie e dell’aumento della produzione di energia elettrica (che in Cina si è risolta con il potenziamento di centrali a carbone!) all’urgenza di trovare nuovi sbocchi all’industria che produce componenti dei motori a scoppio, all’installazione ovunque nel mondo di reti di distributori stradali di energia elettrica senza i quali il valore dell’usato, che si esporta nei Paesi meno sviluppati, si sarebbe ridotto a zero.
Adesso la cosa più giusta da fare nell’Unione Europea sarebbe quella di abrogare la data del passaggio dal motore endotermico a quello elettrico lasciando che sia il mercato a decidere quando e come passarvi. Anche questa marcia indietro è però diventata difficile perché l’industria europea ha fatto enormi investimenti per prepararsi alla data fatidica del 2035, che teme diventerebbero in buona parte inutili in caso di sua abrogazione. In questo campo l’industria europea è comunque indietro rispetto all’industria cinese, che potrebbe così diventare il principale beneficiario del brusco passaggio al motore elettrico in Europa. D’altro canto una politica di dazi contro l’importazione di auto elettriche cinesi in Europa potrebbe provocare per ritorsione dazi cinesi su importazioni di prodotti europei in Cina innescando una guerra commerciale alla fine dannosa per tutti.
È oggi difficile immaginarsi come questo pasticcio potrà risolversi. Speriamo però che diventi una buona occasione per cominciare a liberarsi da quella tendenza, di cui si diceva, a comprimere la realtà dentro schemi rettilinei. Una tendenza le cui conseguenze nefaste aumentano di pari passo alla nostra capacità o anche solo alla nostra pretesa di influire sulla realtà delle cose.
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