Un chilo di ferro pesa più di un chilo di paglia? Aspettate a dire “Figuriamoci, che cosa stai a raccontare?”. Perché il crollo delle nascite sta avendo un effetto di questo genere. In provincia di Varese la popolazione nel 2023 era di 880 mila abitanti, vent’anni dopo, nel 2043, l’Istat prevede che sarà di 889 mila. Per il comune capoluogo si passa dai 78.800 ai 78.600 abitanti. Insomma, numeri costanti. Direte: dov’è il problema. Semplice. La fetta di residenti tra i 15 e i 64 anni, quelli che gli statistici definiscono come “età lavorativa, passerà da 552 a 497 mila: il dieci per cento in meno.
È come se l’intera città di Gallarate sparisse. Diminuirà di 9 mila unità anche la popolazione fino a 14 anni, mentre gli over 80 saliranno da 71 mila a 95 mila. Una mazzata insomma, come abbiamo riportato nelle scorse settimane a proposito della continua flessione di iscritti nelle scuole e all’apnea delle aziende che fanno sempre più fatica a trovare personale. Il 2043 sembra un anno lontano: in realtà è l’anno in cui diverranno maggiorenni quanti nascono in questi mesi.
I problemi non sono tuttavia solo per scuole e aziende. L’invecchiamento della popolazione sta già avendo e ancor più avrà in futuro ripercussioni su welfare e servizi sociali, oltre che, naturalmente sul sistema pensionistico, perché sempre meno persone in età di lavoro avranno sulle spalle sempre più persone che campano di pensione. Se nel 2023 ogni dieci residenti in provincia tra i 15 e i 64 anni, ce n’erano quattro dai 65 anni in su, nel 2043 questi ultimi saranno saranno ben sei. E sempre gli ultraottantenni passeranno dall’8,1 al 10,7% della popolazione: un terzo il più. A Varese città, dove già erano il 9,9%, diverranno l’11,1%. Il maggior numero di anziani residenti nel capoluogo rispetto alla provincia non è dovuto a migliori condizioni di vita ma probabilmente alla ricerca di un luogo con più servizi, per chi abita in casa, e alla maggior presenza di RSA, le case di riposo insomma.
“È un quadro molto preoccupante, che ci riporta al tema della sostenibilità del sistema pensionistico per di più in presenza di pensioni povere. Aumenta anche la pressione sul sistema sanitario e sugli enti locali, che ci si attende che sano erogatori – chiave delle prestazioni di welfare”, dice Roberto
Molinari. Assessore ai Servizi Sociali del Comune di Varese dal 2016, a Palazzo Estense dal 2002, prima nella Margherita e poi confluito nel Partito Democratico, una vita professionale spesa nel mondo che ruota attorno al sindacato, Molinari ha vissuto da vicino la realtà del bisogno sociale. Non ha ricette pronte ma denuncia troppe miopie, spesso frutto di “lenti ideologiche”.
“Da una parte non possiamo che rallegrarci per l’aumento dell’aspettativa di vita, dall’altra come Comune ci dobbiamo preoccupare di aspetti come i servizi per l’invecchiamento attivo, i sostegni alle famiglie. Tutti i comuni sono in difficoltà per scarsità di risorse. Come non bastasse, lo scorso mese di luglio, come conseguenza della manovra finanziaria per l’anno in corso ci siamo trovati con un taglio di mezzo milione di fondi statali. C’è ormai una sorta di demonizzazione degli enti locali, forse conseguenza del fatto che non si riesce a tagliare la spesa a Roma e allora si tira la corda alla periferia”. l’ANCI, l’Associazione dei Comuni italiani ha già denunciato previsioni di nuovi tagli, con mezzo miliardo di fondi in meno per gli enti locali nel 2028, oltre a una serie di vincoli. “A questo si aggiunge un quadro di incertezza: il Comune di Varese sta per adottare il nuovo bilancio 2025, ma sappiamo già che, un funzione degli emendamenti che verranno introdotti alla Finanziaria, dovremo aggiornarlo nei prossimi mesi”.
Insieme con Istruzione, i Servizi sociali sono tra e maggiori voci del budget comunale, con una gamma di prestazioni spesso poco note alla cittadinanza, che vanno dall’assistenza ai disabili, al sostegno abitativo, a quella dei minori in situazioni di difficoltà familiare o per disposizione giudiziaria. Ora, le prospettive di una popolazione che invecchia rapidamente rischiano di proiettare uno tsunami sociale.
Che fare allora? “Tanto per cominciare, adottare un atteggiamento meno ideologico e riconoscere i problemi. Per esempio, i maggiori costi della sanità per una popolazione più anziana. Gli effetti della denatalità sono così evidenti che la stessa Confindustria ha chiesto di irrobustire i flussi di immigrazione controllata. Ma Non basta dire “ci servono gli immigrati”: occorre integrarli perché è nel nostro interesse. Occorre quindi pensare a una casa, ai figli e quindi alla scuola, ai programmi di istruzione e formazione, anche perché rispetto al passato i nuovi arrivati hanno più lacune. E in tutto questo, sono i comuni a dover far fronte a gran parte dei bisogni. Temo che siano sempre più messe in discussione le conquiste di un welfare pubblico che era andato formandosi nel dopoguerra e i Comuni sono sulla linea del fronte”.
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