Verso la fine degli anni Cinquanta ed ancor più all’inizio dei Sessanta, capitava spesso, la sera, specie nei fine settimana, di imbarcarsi con qualche amico, tra i pochi che allora disponevano di una macchina, e di raggiungere, in tempo per l’ultimo spettacolo, un cinema di Mendrisio, appena al di là della frontiera svizzera, che proiettava quelli che noi, giovani e giovanissimi, consideravamo film porno o, per lo meno, estremamente osé.
Il locale in questione apriva i propri battenti esattamente al centro della cittadina ticinese.
All’interno (cosa per noi del tutto inaspettata e nuova, viste le abitudini italiane dell’epoca) era vietato fumare e, al fine di far sì che a tutti gli spettatori la proibizione risultasse ben chiara, sotto il telone, campeggiava, a lettere cubitali illuminate dal neon, la scritta canonica.
Col trascorrere del tempo accadde che le prime tre lettere della parola ‘vietato’ e le ultime due di ‘fumare’ venissero a mancare o, per meglio dire, che il neon che le percorreva non funzionasse più.
Fu così che, per qualche mese, sotto lo schermo, la scritta visibile al buio della sala fosse ‘TATO FUMA’ e che, prendendo spunto da questo accadimento, in tal modo venisse ribattezzato quel cinema dai suoi frequentatori.
Era tale la fama del locale in questione nelle zone di frontiera che gli spettacoli registravano invariabilmente il tutto esaurito.
A quel che ricordo, tra i fruitori abituali del TATO FUMA (varesini e comaschi soprattutto) ben pochi erano i meridionali che, pure, in quegli anni stavano trasferendosi in alta Italia armi e bagagli, in cerca di lavoro, sfruttando, giustamente, il boom economico che prometteva loro una vita certamente migliore di quella abbandonata.
Con ogni probabilità, proprio il fatto che di recente fossero immigrati in zona li teneva discosti, appartati, certo non ancora integrati con gli ‘indigeni’.
Il TATO FUMA, ovviamente, non esiste più e non avrei avuto motivo alcuno di ripensare ad esso se, qualche tempo fa, non mi fosse occorso di scoprirne un aspetto, per me, del tutto inatteso: il suo apporto (piccolo, piccolissimo, per carità!) proprio all’immigrazione.
Ai margini di una noiosa serata, mi ritrovai a parlare con un caro e vecchio amico, di evidenti origini meridionali ma residente in città da tempo immemorabile.
E così appresi che il motivo della sua ‘ascesa’ al nord e nella nostra Varese in particolare andava ricercato proprio nel TATO FUMA, conosciuto, quindi, in realtà – evidentemente solo attraverso i fumi della leggenda – anche in buona parte del sud.
Fatto sta che, dovendo scegliere una sede nella quale sostenere gli esami per un posto nella Pubblica Amministrazione, fra tutte le possibili località sparse sul territorio nazionale, optò per la nostra proprio perché vicina a Mendrisio e a quel cinema, ‘a luci rosse’ ante-litteram, che frequentò, poi, ‘religiosamente’, ogni sera per tutto il periodo del suo primo soggiorno.
Manco a dirlo, il concorso andò a meraviglia ed avendo costui, per quella strana ragione, assaggiato il nostro mondo trovandolo di suo gusto, si fermò deciso ad assorbirne l’aroma fino in fondo.
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