«Pensieri positivi, nonostante tutto».
Lo ripeteva ogni mattina, quando la sua voce usciva nitida dalle frequenze del Gazzettino Padano. Lo immaginiamo pronto e scattante fin dall’alba, a monitorare le previsioni e poi a diffonderle nell’etere a beneficio di tutti noi, magari dopo aver dormito solo poche ore per non sottrarre tempo alla contemplazione delle stelle e della luna. Era dal suo amore per quelle scenografie celesti che nasceva probabilmente quel “nonostante tutto”: la vita è difficile, ma non dobbiamo mai scordarci di quanto fascino si nasconda dentro di essa.
Salvatore Furia lo aveva capito.
Che poi lui, alla luna, doveva l’inizio di un’attrazione travolgente e di una carriera che lo avrebbe portato a essere uno dei varesini più illustri mai esistiti: cambia poco il luogo di nascita (nel caso di specie Catania, 16 anni prima del suo arrivo al Nord sulle orme di uno zio), perché di queste terre il “prof” aveva preso lo spirito pratico e il lavoro silenzioso e costante, diventandone ambasciatore di stile e perseveranza.
La ammirava all’osservatorio di Brera, guidato in quei primi passi da Francesco Zagar, e fu in quelle notti che concepì un’idea destinata a cambiare la storia di Varese e la sua: la realizzazione di un osservatorio anche in cima al Campo dei Fiori. Costruito nel 1964 a Punta Paradiso, il centro scientifico diventò la sua casa ma soprattutto quella di tutti i varesini interessati all’astronomia, alla meteorologia, alla divulgazione scientifica tout court, all’ambiente…
Furia fu infatti un precursore di quell’ambientalismo che oggi è diventato movimento di massa che sfrutta i moderni mezzi di diffusione dei contenuti per arrivare (spesso travisato) nelle coscienze collettive. No, cinquant’anni fa non funzionava così: allora l’ambientalismo era davvero una visione superiore ed eletta, ancorata a studi difficili e propagata da un coraggio che andava autenticamente controcorrente.
Quando sfidò le logiche del boom economico varesino – le cui conseguenze erano state fino ad allora “nascoste sotto a un tappeto”, come si fa con la polvere che non vogliamo far vedere agli ospiti – e puntò il mirino sul lago di Varese, finì su tutti i giornali, anche quelli a tiratura nazionale: prese le acque del bacino locale e le versò un sabato pomeriggio nella fontana di piazza Monte Grappa, turbando con la forza di un pugno la quiete placida dello struscio pre-festivo. Per la prima volta, quel giorno, i varesini ebbero finalmente reale contezza di quanto grave fosse la salute del loro lago, una consapevolezza che 8 lustri più tardi avrebbe portato a una mastodontica opera di risanamento. Da due stagioni è addirittura tornata possibile la balneazione: siamo sicuri che un tuffo se lo farebbe anche lui…
Non era mai solo, il “prof”, da pastore di uomini qual era, giovani soprattutto: gli “schiaparellini”, come venivano battezzati i volontari del centro, giocando con il nome dell’astronomo cui è dedicato, sostenevano la sua poliedricità, lo accompagnavano nelle sue battaglie, nelle serate pubbliche che organizzava, nella cura della natura, nelle faccende più “alte”, ma anche in quelle più faticose, come spalare la neve ogni volta che arrivava a coprire copiosa il Campo dei Fiori. In cambio ottenevano una moneta decisamente più spendibile del denaro: ricevevano la passione, predisposizione d’animo che ancora oggi tiene in vita un’eredità inestimabile.
Più unico che raro, Furia – scomparso nel 2010 – riceverà alla memoria e nei cento anni dalla sua nascita il “Premio ecologia città di Varese” da lui stesso istituito nel 1973. Se trovate altri casi del genere, fateci un fischio, perché non li conosciamo…
Insieme al premio, una targa, posizionata al Lido Della Schiranna, che da fine mese diventerà “Lido Salvatore Furia”. Lì, davanti a quel lago che gli deve la vita.
You must be logged in to post a comment Login