Forse è un presto per dirlo, quindi parliamo sottovoce, però sembra che, contrariamente a diverse previsioni, il nuovo accordo fiscale italo svizzero sulla tassazione dei frontalieri stia cominciando a dare qualche effetto. I frontalieri italiani hanno smesso di crescere e anzi stanno lievemente diminuendo. Con qualche elemento di soddisfazione per le imprese al di qua del confine, con qualche preoccupazione per quelle rossocrociate e di sicuro non per la gioia dei lavoratori italici.
L’8 novembre, l’Ufficio Federale Statistico, l’equivalente elvetico del nostro Istat ha fornito l’aggiornamento trimestrale: a fine settembre i frontalieri in Svizzera erano 403 mila, in aumento del 2,4% in un anno (e del 19% in cinque anni). Di questi, quelli provenienti dall’Italia erano oltre 79 mila, in calo dell’1,3%.
Il motivo? I nuovi accordi fiscali itali-svizzeri. Riassumiamo: in virtù delle intese entrate in vigore il 1° gennaio scorso, i “nuovi frontalieri”, cioè quelli assunti a partire dal 17 luglio 2023, non sono più sottoposti alla tassazione “sostitutiva”, col pagamento delle imposte solo in Svizzera, ma sono assoggettati alla “tassazione concorrente”. Il che vuol dire che sono tassati anche in Italia, detraendo però quanto già pagato in Svizzera, per evitare la doppia imposizione. La tassazione elvetica è del resto ben inferiore a quella italiana, in parte anche perché in Italia una parte delle tasse finanzia la sanità. In Svizzera invece i residenti – compresi quelli a carico, con sconti per bambini e giovani – pagano separatamente la costosa “cassa malati”.
Insomma, un bell’aggravio per i “nuovi assunti”, anche se per addolcire la pillola, l’imponibile per questi è ridotto di 10 mila euro annui. Tradotto in soldoni secondo valutazioni di CGIL Como, per un lordo di 65 mila euro, che è lo stipendio medio di un frontaliere, il netto mensile è pari a 3626 euro per il “vecchio” frontaliere e a 3.126 per quello “nuovo”. Una bella differenza di 500 euro, che sale ancora per gli stipendi più alti e scende per quelli più bassi. Non a caso, il governo di Roma ha previsto un balzello parzialmente riequilibratore per coprire le spese della sanità nelle zone di frontiera, per un massimo di 200 euro a carico dei “vecchi” frontalieri. Dovrebbe scattare nel 2025, ma la Regioni (in pratica Lombardia e in misura minore Piemonte) non hanno i dati sulle retribuzioni e quindi non si sa come potrebbero procedere.
Il divario rispetto agli stipendi italiani resta quindi elevato – soprattutto in settori come la sanità, dove infatti la “migrazione” verso il Ticino non sembra subire flessioni – ma si riduce un po’. Al punto che, ha dichiarato al Corriere del Ticino Andrea Paglia, vicesegretario cantonale dell’OCST, l’Organizzazione Cristiano Sociale Ticinese e responsabile del comparto frontalieri, il mercato del lavoro ticinese “resta ancora attrattivo soltanto per coloro che ricevono proposte di lavoro con salari in linea con quelli svizzeri, quindi di un buon livello. Al contrario, tutte le offerte di lavoro che si attestano sul minimo salariale, e che un tempo venivano accettate senza troppi problemi, ora vengono rifiutate”.
Addirittura, soprattutto chi non ha carichi di famiglia, è attratto dalla prospettiva di spostare la residenza in Svizzera (con il permesso “B” in luogo di quello “G” dei frontalieri). Nello stesso tempo, l’Agenzia delle Entrate italiana promette di stringere i controlli per verificare che alla residenza fiscale svizzera corrisponda effettivamente un numero di giorni trascorsi in Italia non superiore a 183 (metà anno) e nel caso del telelavoro considera “tempo svizzero” un massimo del 25%; un giorno la settimana.
La mancanza di personale, si nota anche negli ambienti elvetici, si fa sentire anche in Lombardia e segnatamente nelle due province di Varese e Como, ciascuna delle quali porta circa 32-33 mila frontalieri nel Canton Ticino. Il risultato è che le aziende “insubriche” cercano di essere un po’ più competitive nelle retribuzioni. In Ticino, dove la disoccupazione è solo al 3,5% contro un ancor più basso 2,1% del totale svizzero, il mercato del lavoro è ancor più sotto stress e quindi ci si attende che anche lì, dove la contrattazione è soprattutto individuale, ci sia qualche ritocco per i nuovi assunti. il cantone è peraltro quello con i livelli retribuivi più bassi di tutta la Svizzera, anche per effetto della concorrenza salariale al ribasso italiana.
Si andrà verso un parziale riequilibrio? “I differenziali restano elevati”, segnalano con un certo scetticismo le organizzazioni sindacali varesine, recentemente impegnate in un workshop sul tema promosso dalla Camera di Commercio. Un certo ottimismo viene proprio dal presidente camerale Mauro Vitiello: “Il quadro sta cambiando, soprattutto i più giovani considerano con attenzione l’equilibrio lavoro – vita privata, e se si mettono sul piatto tutti gli elementi, credo che anche il tessuto delle imprese varesine possa avere la sua attrattività”.
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