“Il sangue scorre come le lacrime. La rabbia aumenta insieme alla voglia di vendetta, mentre pare che a pochi interessi ciò che più serve e che la gente vuole, la pace”.
Lo ha scritto poche settimane fa Papa Francesco ai cattolici in Medio Oriente fotografando quel generale scoramento sulla situazione attuale che fa dire a non pochi: non c’è più nulla da fare, occorre rassegnarsi all’odio e alla violenza in attesa di tempi migliori.
L’incontro “Volti di pace”, promosso a Roma dal Centro internazionale di Comunione e Liberazione, è stato invece un tentativo di andare controcorrente, di “riscrivere un nuovo lessico in un contesto assuefatto al linguaggio delle armi” come ha sottolineato l’arcivescovo di Bangui (Repubblica Centrafricana) Monsignor Nzapalainga. Oltre al presule, sul tavolo dei relatori, l’arcivescovo della Madre di Dio a Mosca, Monsignor Paolo Pezzi e Hussam Abu Sini, responsabile di Comunione e Liberazione in Terra Santa.
Ucraina, Russia, Israele, Gaza, Libano, Iran ma anche Sud Sudan, Myanmar, est del Congo: è lunga la lista delle guerre in corso mentre accelera il ricorso alle armi come unica via per risolvere i conflitti con grande ingrasso e incasso delle industrie belliche. Una sola voce si leva instancabile da due anni e mezzo per invocare il dono della pace ed è quella di Papa Francesco.
“Lo fa – commenta l’arcivescovo Pezzi – a nome di tutto il mondo, di tutti noi. Perché la pace non possiamo fabbricarcela. Possiamo favorirla ma resta essenzialmente un dono che nasce dalla conversione del cuore. Cristo è stato inviato dal Padre per donarci la pace, l’uomo invece può pianificare una convivenza che al massimo come espressione di sé ha il detto romano “Si vis pacem para bellum”.
Mai come in questi mesi la pace passa per la persona. Lo ha ricordato il vescovo di Bangui raccontando di come, durante la sanguinosa guerra civile in Centrafrica, nel 2023, raggiungesse i guerriglieri nel fitto della boscaglia per testimoniare il Vangelo implorando di deporre le armi. «Avrebbero potuto spararmi ogni volta ma non l’hanno mai fatto» ha osservato. E quando il pastore anglicano suo amico viene arrestato per ordine del Presidente Touadéra, reo di aver criticato gli scarsi tentativi per raggiungere una pace nel Paese, Nzapalainga si reca in abiti civili davanti alla porta del carcere e vi staziona un giorno e una notte in segno di protesta.
Nel racconto del medico Hussam l’orrore della guerra irrompe il 7 Ottobre mentre la comunità di CL di Terra Santa è raccolta per una vacanza ad Abu Ghosh, piccolo paese a nord di Gerusalemme. «La nostra è una compagnia complessa - racconta – ci siamo io, che sono arabo israeliano, mia moglie italiana, un’altra ragazza arabo-israeliana, un ragazzo italiano che fa il dottorato ad Haifa, quattro donne palestinesi di Betlemme e altre due ragazze cattoliche di lingua ebraica. Nello smarrimento generale di quelle ore ci siamo chiesti da dove ripartire e ci sono tornate in mente le parole che il patriarca di Gerusalemme, Cardinale Pizzaballa, aveva rivolto pochi giorni prima: «Dove c’è il disordine solo Dio può rimettere ordine».
Siamo così ripartiti dalla preghiera comune nonostante le divergenze di opinioni. Se penso «all’ordine mi viene in mente come siamo stati uniti, nel rifugiarci in un bunker quando un razzo è esploso poco distante da dove eravamo: i palestinesi aiutavano gli israeliani, gli stranieri accompagnavano i residenti. In genere noi palestinesi giustificano la nostra presenza in Medio Oriente con il fatto di vivere in questi luoghi molti secoli prima degli israeliani ma io invece voglio restare qui per annunciare a tutti la possibilità di una comunione che ha vinto e che vince il mondo».
«In fondo – conclude l’arcivescovo Pezzi – è come se non credessimo sino in fondo al metodo di Cristo. Continuiamo ad arrovellarci su quale sia il miglior metodo di governo, la diplomazia più efficace ma trascuriamo la fraternità, fondamento e scopo della pace che si fonda sulla azione dello Spirito, sulla fiducia reciproca fra gli uomini e sulla fiducia a priori nell’altro che incontriamo». E questo è un metodo che non ha bisogno di aspettare la prossima risoluzione delle Nazioni Unite.
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