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Il racconto

ERA WOODY

MAURO DELLA PORTA RAFFO - 31/10/2024

woody

“Correva il 1977.
Credo fossimo quasi in autunno.
Ibiza, al porto, lungo la banchina principale.
Uno dei primi locali.
Nella memoria, una mezza bettola salmastra i cui consunti tavolini all’aperto, le cui logore insegne parevano collocarsi, in quel loro oramai scolorito e consumato blu tendente al biancastro, molto più a sud, in altri mari – che so? – nella Sonda piuttosto che in Polinesia.
L’insegna, retaggio di lontani e migliori momenti e alquanto ridicola al dunque, recava un impegnativo ‘The best cup of tea in the world’.
Era lì che, invariabilmente, verso sera, ci si trovava.
Un gruppo eterogeneo, una dozzina di persone in qualche modo diventate amiche per consuetudine, intenzionate ad attendere colà, bevendo e, se del caso, chiacchierando, l’ora di cena.
Una specie di lingua franca, la nostra.
Spagnolo, italiano, francese, inglese, mescolati.
Segni d’intesa, qualche grugnito da parte dei più silenziosi.
Pescatori, turisti fuori stagione e quegli inglesi in bermuda che ai tempi trovavi dovunque.
Tutti maschi e tutti o quasi, salvo gli isolani, in attesa di possibili comunicazioni.
Parentali, amicali o lavorative che potessero essere.
Pochi essendo infatti i telefoni sull’isola, era il numero del ‘The best…’ che quanti volevano parlarci dovevano comporre dalle cinque di sera circa fin verso le nove.

Fu alle otto precise di un giorno come tutti gli altri che il barista chiese a voce alta
“Elliott?
C’è qualcuno che si chiami Elliott?” e, vedendo il mio vicino di destra alzarsi, aggiunse indicando l’apparecchio
“Al telefono”.
Un tipo con una faccia conosciuta, di taglia media, tendente al grassottello, che avevo inquadrato sempre in compagnia di un giovinetto alquanto effeminato.
Ma non è forse vero che se frequenti per qualche giorno una persona ti capita di pensare di averla già vista altrove?
Non distante l’apparecchio, captai qualcosa di strano.
Un po’ di chiacchiere indistinte ed ecco che Elliott comincia a declamare: “Hickory, dickory, dock/The mouse ran up the clock/The clock struck one/ And down he runs/ Hickory, dickory, dock”.
Per quanto digiuno d’inglese, mi sembrò avesse usato un accento particolare, quasi volesse far vedere che poteva mutare toni e atmosfere.
Un paio di minuti ancora di conversazione di nuovo indistinta ed eccolo al tavolo.
Curioso, per mezzo di un americano che bene o male qualche parola d’italiano sapeva, gli domandai ragione, se riteneva di darmela, di quella tiritera recitata tanto stranamente.
“Era Woody Allen”, rispose, “Mi chiedeva se fossi capace di imitare il gergo newyorchese.
Per un film che deve cominciare, gli serve uno come me ma che parli come quelli della Grande Mela.
Non mi pare di averlo convinto”.
Ecco il viso conosciuto: era Denholm Elliott, l’avevo visto almeno in ‘Alfie’.
Feci finta di nulla e della storia mi ero quasi dimenticato quando, nel 1987, mille anni dopo il felice periodo ibizano, vedo il buon Denholm protagonista di ‘Settembre’.
Woody non se ne era scordato.

Vedi, c’è stato un istante, un solo istante nel quale sono stato a un passo da Allen.
Sarebbe bastato chiedere il numero all’attore inglese, ma non avevo niente da dirgli.
Oggi che mi piacerebbe fargli leggere i miei racconti, nessun aggancio.
Quanto ad Elliott, è morto di aids ad Ibiza nel 1992.
Quella vita, quell’isola l’hanno incastrato”.

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