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Attualità

TESTA O CROCE

GIUSEPPE ADAMOLI - 31/10/2024

trump_harrisKamala Harris o Donald Trump? È la domanda che tutti ci facciamo a pochi giorni dalle elezioni presidenziali americane.

I media dicono che sono le più importanti di sempre. Non ricordo una sola volta che questo mantra non sia stato ripetuto nelle vigilie elettorali degli ultimi decenni: nel 2008 perché Barak Obama sarebbe potuto diventare il primo presidente afroamericano, come avvenuto. O nel 2016 perché Hillary Clinton avrebbe potuto essere, ma non è stata, la prima donna alla Casa Bianca.

Ma il prossimo 5 novembre è davvero una data storica. Lo è anzitutto per la profonda trasformazione demografica, etnica, sociale e culturale che gli Usa stanno attraversando. Lo è perché si sta indebolendo la posizione di fulcro internazionale che l’America ha sempre avuto dalla seconda guerra mondiale in poi. Lo è per il ruolo che sta giocando nelle due guerre in corso, in Ucraina per la difesa di uno Stato sovrano aggredito, in Israele per il solidissimo legame con la sola democrazia del Medio Oriente.

La situazione interna negli Stati Uniti è esplosiva. Mai si è visto, dicono gli storici, un tale scontro frontale (la chiamano polarizzazione) fra i due partiti: democratico e repubblicano. Basti dire che su 50 Stati – dotati peraltro di forte autogoverno – solo sette sarebbero quelli incerti mentre negli altri il voto per un partito o per l’altro è dato per scontato qualsiasi cosa accada.

Chiedersi chi vincerà è perciò un esercizio inutile. Tutti i sondaggi negli Stati più decisivi danno i due rivali appaiati. Molto più interessante discutere fra noi sulle due personalità e sulle due strategie, il che ci riguarda da vicino. Ognuno ha le sue risposte e anch’io ho le mie da persona che segue la politica americana con grande passione.

Trump è grande protagonista da più di dieci anni. È già stato condannato dal tribunale di New York per aver comprato il silenzio di una pornostar con i contributi elettorali e la decisione sull’entità della pena è stata rinviata per non interferire nelle elezioni. Ma questo è ritenuto il più lieve dei reati di cui è accusato. Ha davanti a sé altri tre processi su imputazioni delicatissime connesse con la sua presidenza fra cui l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021 rimasto indelebile nella memoria dei democratici di tutti gli orientamenti politici.

Nella campagna di Trump si scorge la volontà di vendetta verso chi considera “i nemici” che gli hanno causato la sconfitta del 2020. Lui continua a chiamarla “vittoria rubata” con delle falsità documentate da tutte le evidenze. C’è da essere allarmati per i fortissimi strappi che potrebbe provocare al sistema democratico americano.

Kamala Harris, da vice presidente, ha deluso alcune aspettative, ma il ruolo del vice è molto debole in un sistema politico super presidenziale. Ha promesso che la sua presidenza non sarà tutta nel solco di Joe Biden anche per le necessarie varianti che la storia impone. Molto dipenderà da chi sceglierà nei ranghi più alti del governo per la colossale impresa di guidare quella che è (ancora) la prima superpotenza mondiale.

Da convinto europeista scelgo l’America che offre più garanzie di piena democrazia e di forte legame con l’Europa come si deduce dalla strategia di Kamala Harris. Toccherà poi all’Unione Europea diventare più protagonista nella Nato e nelle relazioni internazionali.

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