In un mondo lacerato dalle guerre, dalle differenze sociali ed economiche spesso incolmabili e dall’indifferenza, papa Francesco pubblica la sua quarta enciclica, Dilexit nos, con il proposito di richiamare l’attenzione a ciò che oggi sembra mancare sempre più: il cuore.
Ideale prosecuzione del discorso iniziato con le precedenti Laudato si’ e Fratelli tutti, la lettera si compone di 5 capitoli e 220 paragrafi e viene pubblicata mentre sono in corso (27 dicembre 2023 – giugno 2025) le celebrazioni per il 350° anniversario della prima manifestazione del Sacro Cuore di Gesù a santa Margherita Maria Alacoque.
Come Bergoglio aveva anticipato in un’udienza generale lo scorso 5 giugno, mese dedicato al Sacro Cuore, il documento raccoglie «le preziose riflessioni di testi magistrali precedenti e di una lunga storia che risale alle Sacre Scritture, per riproporre oggi, a tutta la Chiesa, questo culto carico di bellezza spirituale».
Ma perché occorre «ritornare a parlare al cuore» in un mondo liquido, in una «società di consumatori seriali che vivono alla giornata dominati dai ritmi e dai rumori della tecnologia, senza molta pazienza per i processi che l’interiorità richiede»?
Anzitutto perché il cuore è «il nucleo di ogni essere umano, il suo centro più intimo», il luogo della valorizzazione del sé e dell’apertura verso il prossimo. Tutto è sintetizzato e unificato nel cuore, «sede dell’amore con tutte le sue componenti spirituali, psichiche e anche fisiche».
Anche se la sua svalutazione è culturalmente molto più antica rispetto ai giorni nostri, visto che se ne coglie traccia nel «razionalismo greco precristiano, nell’idealismo postcristiano e nel materialismo nelle sue varie forme», perdere la ricchezza profonda che da esso deriva è dannoso, e forse il tempo è testimone della verità delle parole di Francesco.
Se manca il cuore «si svaluta anche ciò che significa parlare dal cuore, agire con il cuore, maturare e curare il cuore». Tornare al cuore significa non soltanto riappropriarsi di una componente propria dell’uomo, talvolta sopita, ma anche riscoprire le risorse che esso è in grado di generare, «risposte che l’intelligenza da sola non può dare», e che in ogni caso sarebbero soltanto parziali.
Il cuore, infatti, consente anche di sperimentare legami autentici, di superare l’individualismo e l’autoreferenzialità, spesso semi che producono i frutti amari del narcisismo e dell’egoismo.
Pensiamo ai Vangeli, testimoni sempre attuali dello stile di Gesù. Essi riportano i suoi gesti, i suoi sguardi che scrutano «l’intimo dell’essere» e le sue parole di vero amore, tutti esempi ben distanti dalla freddezza e dall’indifferenza.
Il suo è un cuore che tanto ha amato e continua ad amare, la cui devozione è sempre presente alla Chiesa, non soltanto con le attuali celebrazioni, ma anche nel passato.
È un’occasione per il Papa d’invitarci a rinnovare la nostra devozione al Cuore di Cristo, sia attraverso l’immagine del cuore che ci mette in relazione con Lui in tutta la sua bellezza umana e divina; sia riscoprendo le Sacre Scritture, i Padri della Chiesa e i Santi, ampiamente citati nel quarto capitolo dell’enciclica, da Agostino a Teresa di Lisieux, da Ignazio di Loyola a Giovanni Paolo II.
Cristo resta in ogni caso il centro dell’enciclica, come il cuore è il centro dell’uomo. Gesù è bussola e obiettivo, maestro che ci guida e che ci offre l’opportunità di rinnovarci sempre nella nostra umanità.
Il suo amore è voce profonda nel mondo, ma non del mondo. Egli è estraneo alla nostra manìa di consumo e di accumulo, e come Francesco dice in clausola all’enciclica, lui «solo può liberarci da questa febbre in cui non c’è più spazio per un amore gratuito».
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