Sempre più difficile. Fino a qualche anno fa, il problema del rapporto scuola-lavoro era sostanzialmente di natura qualitativa e suonava così: come evitare a molti giovani la frustrazione di studiare per cercare un lavoro che non c’è e allo stesso tempo, come far sì che le aziende cerchino competenze che non si formano. Il tema dello “skill mismatch”, termine usato quando domanda e offerta non s’incontrano, è ufficialmente salito di livello. Perché mancano le nuove generazioni.
In questi giorni, l’Ufficio Studi di Confindustria, che non è esattamente quello della Fiom-Cgil, ha indicato le misure del problema. Da qui a 5 anni, mancheranno “a bocce ferme” 1,3 milioni di lavoratori, perché chi esce dal mercato del lavoro non sarà in misura sufficiente sostituito. Anche ammettendo di aumentare il tasso di occupazione di 700 mila unità, ne restano altri 600 mila da trovare. Per questo, occorrerebbe ampliare di 120 mila ogni anno il numero di lavoratori da trovare “altrove”. In sostanza, stranieri da accogliere ed anche formare. L’alternativa? Chiudere le aziende o spostarle in altre aree.
Per tre giorni, il complesso varesino delle Ville Ponti ha accolto una interessante manifestazione fatta di incontri con famiglie, studenti, docenti e di tante micro-aree di presentazione di “mestieri” da presentare soprattutto a chi deve pensare al ciclo di scuole superiori. Promossa dalla Camera di Commercio con l’Amministrazione Provinciale e la collaborazione dell’Ufficio Scolastico Provinciale, è stata un’occasione per fare un po’ di luce su tante realtà spesso poco conosciute dai giovani candidati, dal mestiere del saldatore a quello del tecnico elettronico, dalle professioni sanitarie a quelle amministrative, financo al “banchetto” delle Forze dell’Ordine, presidiato dai Carabinieri. Né potevano mancare cuochi o parrucchieri, con altre decine di professioni.
Insomma, “Non si vive di soli licei”, come dice Giuseppe Carcano, direttore dell’ufficio Scolastico, che spiega a RMFonline.it: “fortunatamente, a Varese siamo comparativamente in una situazione piuttosto equilibrata: non siamo agli estremi di Roma, dove le iscrizioni liceali sforano l’80 per cento. Da noi siamo attorno alla metà”. Carcano non nasconde tuttavia le ragioni dell’allarme: “È vero, abbiamo sempre meno giovani, ogni anno segniamo il calo di un migliaio di iscritti nella scuola primaria in Provincia, circa il 3%. Anche il prossimo anni ci saranno accorpamenti di istituti”.
Ormai la carenza di personale soprattutto in alcuni settori, come turismo/ricettivo, amministrazione, alcuni comparti dell’industria, sanità è conclamata. Come far fronte al problema in più della concorrenza della Grande Milano dal Sud e del Canton Ticino dal Nord? “Non sarei pessimista”, risponde Mauro Vitiello, presidente della Camera di Commercio. “La concorrenza sul piano retributivo della Svizzera è innegabile+, anche se il regime fiscale per i nuovi frontalieri ridimensiona in qualche misura il gap. Tuttavia sono convinto che se sulla bilancia si mettono tuti i parametri, anche in termini di qualità della vita, impiego del tempo, non ne usciamo così svantaggiati. Prova ne sia che il numero dei frontalieri è particolarmente elevato non tanto nelle nuove generazioni che si affacciano al mercato del lavoro, quanto presso quelle intermedie”.
Proprio l’Osservatorio della Camera di Commercio quantifica tuttavia in quasi 70 mila i varesini iscritti all’Aire, quindi residenti all’estero (oltre ai frontalieri), probabilmente per motivi non di mancanza di lavoro. Vincono stipendi e prospettive professionali, anche in settori come la sanità? “L’esperienza internazionale è utile, ma non credo che gli sviluppi di carriera o le competenze acquisite all’estero siano cosi elevate. Quanto alla sanità, ci possono essere dei gap retributivi, che però nel caso dei medici nel settore pubblico non sono così elevati come si pensa. Oggi molti medici lasciano la sanità pubblica, semplicemente perché passano al privato, che è il vero concorrente. Ci sono meccanismi da rivedere.”
E come la mettiamo con l’attrazione milanese, che spesso comincia con l’Università? “Credo più in una presenza complementare che in una vera concorrenza”, risponde Vitiello. “Indubbiamente la Grande Milano offre esperienze ampie e variegate, che a ragion veduta sono attraenti per un giovane che si presenta sul mercato del lavoro. Tuttavia sono molti anche quelli che dopo questa prima fase poi rientrano. Certo, alcune professioni sono tipicamente concentrate a Milano, ma credo che anche il nostro territorio possa offrire opportunità di ottimo livello. Sa qual è il problema? Che molti, troppi candidabili non conoscono la realtà del mercato varesino. Insomma, una bassa comunicazione. Del resto, le grandi aziende, a partire da quelle della finanza e della consulenza milanese, fanno azioni mirate d recruiting. Le aziende da noi sono in parte responsabili. Se escludiamo pochi casi, come quello di Leonardo, quali sono le aziende che “parlano” con i giovani, con i neolaureati e non solo?
You must be logged in to post a comment Login