L’almanacco del giorno dopo fu – come certamente qualcuno ricorda – una trasmissione di notiziole e fatterelli della durata di sette minuti che precedeva il TG1. Iniziò lunedì 25 ottobre 1976 e durò fino al 1992. Tralasciando la breve ripresa di un paio d’anni dopo e le parodie anche recenti, quella rubrichetta segnò un’epoca televisiva, con la sua musichetta che imitava una ballata medioevale e con lo scorrere su un prisma delle riproduzioni dei mesi fatte da un incisore bolognese del XVII secolo.
Per il mese di ottobre c’era un uomo che tra lo spaventato e l’arrabbiato tentava di schiacciare uno scorpione ai suoi piedi. Il tutto era – secondo quanto scrisse Linkiesta qualche anno fa “una sapienzuccia con cui la Rai democristiana degli anni ’80 pasceva democristianamente il suo democristiano pubblico”.
Si sa che delle opinioni disputandum est ma sorprende che quella paginetta del 2015 termini con queste parole. “E così, a sorpresa, un po’ di nostalgia, persino per l’Almanacco del Giorno Dopo viene, dopo che sono venute le varie ghigliottine e pacchi”.
Ricordare con nostalgia non serve. È, invece, utile ricordare per conoscere e riflettere. E l’almanacco di questo ottobre 2024 avrebbe da dirci qualcosa oltre le notiziole curiose.
Ad esempio il Decreto Legislativo del 26 ottobre 1944, n. 457 con il quale si dava una nuova denominazione all’Ente Italiano Audizioni Radio. Insomma la nascita della Rai. Altri tempi. Si stava ricostruendo il tessuto sociale e politico dopo gli anni della dittatura fascista e il modo di utilizzare la comunicazione radiofonica. Davvero altri tempi. E la Rai del 1944 aveva – si legge – un mandato chiaro: fornire un servizio di radiodiffusione pubblica, indipendente e imparziale. I tempi cambiano e forse anche i mandati. Sarebbe da rileggere un articolo pubblicato dalla rivista il Mulino nel 2018 in cui si rifletteva che la Rai è un’azienda pubblica che esercita (o dovrebbe esercitare) una funzione formativa sull’opinione pubblica. E qui il discorso si farebbe serio.
Ma il nostro Almanacco si accontenta – si fa per dire – di ricordare un’altra data. Il 26 ottobre del 1871 nasceva a Roma Carlo Alberto Camillo Salustri, ben noto con lo pseudonimo Trilussa. Scrittore, giornalista e soprattutto poeta romanesco, di una saggezza ingiustamente definita terra-terra, intrisa di pungente ironia, talvolta sarcastica, semplice ma efficace nel raccontare e nel criticare molte convenzioni borghesi e non solo. Mai come ora dovremmo rileggere la sua ninna nanna della guerra. Sono versi capaci di spiegare la disumanizzazione che ogni guerra porta con sé. Li mise in musica anche Claudio Baglioni. Vale davvero la pena rileggerli o riascoltarli. Ninna nanna, ninna nanna/, …. che se dormi num vedrai tante infamie e tanti guai… tu non senti li sospiri e li lamenti della pora gente che se scanna, che se scanna e che s’ammazza a vantaggio della razza… Trilussa l’aveva scritta nell’ottobre del 1914 e denunciava in quella ninna nanna, quasi una nenia funebre, quer covo d’assassini che c’insanguina la terra sa benone che la guerra è un gran giro di quattrini che prepara le risorse pe li ladri de le Borse… E già altri tempi, si dirà. Ma la sua saggezza semplice, schietta e diretta è sempre attuale.
Come attuale il Dialogo tra l’uno ar zero, scritto esattamente ottant’anni fa. “Conterò poco: diceva l’Uno ar Zero. Ma tu che vali? Gnente proprio gnente… Io, invece, se metto a capofilo da cinque zeri tale quale a te lo sai quanto divento? Centomila. È questione di nummeri. A un dipresso è quello che succede ar dittatore che cresce de potenza e de valore più so’ li zeri che je vanno appresso”. Certo non ci sono più i dittatori ma gli zeri esistono: e sono tutti coloro che rendono potente chi sarebbe solo un numero. Ogni ulteriore commento è superfluo.
Forse l’almanacco di oggi ci porta ad almanaccare, a fantasticare un mondo senza guerre e a non essere degli zeri.
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