«Esperta di umanità», come disse Paolo VI nel suo primo discorso alle Nazioni Unite (1965), la Santa Sede festeggia i sessant’anni dal suo ingresso nel consesso come Stato osservatore.
Il ruolo che finora ha svolto è quello di difesa della dignità umana e dei diritti umani, per tutelare anzitutto il diritto alla vita, facendosi portavoce della giustizia sociale, dello sviluppo economico e della tutela dell’ambiente.
Come ha precisato il segretario di Stato vaticano Parolin nel discorso tenuto a New York per onorare questa ricorrenza, la funzione di “osservatore” non significa assistere allo svolgimento degli eventi «in modo passivo e disimpegnato». Piuttosto evidenzia che la Santa Sede non si propone «come entità politica in cerca di potere o di influenza», ma come «voce morale che sostiene la pace, la giustizia e la dignità umana».
Il metodo adottato per perseguire la pace è quello della azione, di un lavoro continuo ed instancabile che fa ben capire che essa non è una semplice aspirazione, «non deve essere soltanto un bel gesto», come disse Pio XII, ma un obiettivo concreto.
Tuttavia, l’impegno dei papi contro la guerra si è sempre più intensificato ed è ben precedente al 1965. Pensiamo a due estremi: Benedetto XV che nel 1917 definì la guerra un’«inutile strage»; papa Francesco che nel 2014 fu il primo a denunciare il pericolo di una «terza guerra mondiale a pezzi».
Tutti i pontefici compresi fra i due hanno pronunciato appelli contro la guerra, intrecciando la loro voce con quella dell’Onu, anche quando la Santa Sede non ne faceva ancora parte. Al termine della Seconda guerra mondiale Pio XII denunciava che il totalitarismo, «incompatibile con una vera e sana democrazia», continuava a infestare il mondo, a presentarsi come minaccia di guerra.
Anche Giovanni XXIII, autore dell’enciclica Pacem in terris (1963), temeva che gli esperimenti nucleari a scopi bellici avessero «conseguenze fatali per la vita sulla terra», ritenendo che riuscisse «quasi impossibile pensare che nell’era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia».
Allo stesso modo Paolo VI, che visitò il Palazzo di Vetro il 4 ottobre 1965, disse: «non gli uni contro gli altri, non più, non mai!».
Montini invitava i popoli a liberarsi «dalle pesanti spese degli armamenti», riferendosi anche alle parole di John Kennedy: «l’umanità deve porre fine alla guerra o la guerra porrà fine alla umanità».
Durante il suo breve pontificato anche Giovanni Paolo I si dedicò alla difesa della pace, sperando nei negoziati di Camp David per la tregua in Medio Oriente tra Sadat e Begin: «Di pace hanno fame e sete tutti gli uomini, specialmente i poveri che nelle guerre pagano di più» (1978).
Le parole di Paolo VI contro la guerra furono riprese da Giovanni Paolo II, che le usò in riferimento alla sua Polonia e ai campi di concentramento: «non più la guerra, non più! Mai più gli uni contro gli altri», ponendosi in continuità con i suoi predecessori. Wojtyla riteneva la pace un obiettivo realizzabile, purché ci si riferisse alla Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, valido strumento per una pace duratura.
Se Benedetto XVI in visita all’Onu nel 2008 richiamava a una «visione della vita saldamente ancorata alla dimensione religiosa» per promuovere la pace e la giustizia, insieme al dialogo interreligioso, Francesco celebrò il 70° anniversario dell’Onu (2015) parlando della guerra come di un «disordine causato da ambizioni incontrollate e dagli egoismi collettivi», che minano la fraternità tra gli uomini.
Oggi, contro la guerra, Bergoglio esorta ad essere «piccoli tasselli di pace» impegnati in un’opera di artigianato aperta al coraggio del dialogo contro i muri dell’odio. Un richiamo concreto rivolto a tutti per difendere la vita e i diritti umani.
You must be logged in to post a comment Login