Sembra un momento senza vie d’uscita quello che stiamo vivendo. Non si vede una soluzione alle guerre che lambiscono l’Europa, ad est con la dissennata aggressione della Russia all’Ucraina e a sud con la disgraziata avventura iniziata il 7 ottobre di un anno fa, col progrom di Hamas contro Israele. In entrambi i casi, nonostante passino gli anni, continuiamo ad assistere ad un’escalation. Meno evidente sul fronte ucraino dove la Russia oltre a minacciare, a giorni alterni, soprattutto per bocca del suo poco raccomandabile vicepresidente, Dmitrij Anatol’evič Medvedev, l’uso dell’arma atomica, si fa rifornire di materiale bellico, come missili e droni, da soggetti inquietanti come l’Iran e la Corea del Nord. Dalla quale, oltretutto da poco, ha ottenuto un contingente militare di 12.000 uomini da spedire al fronte, perché la mobilitazione interna ristagna. I ragazzi russi, nonostante la propaganda, non vogliono combattere una guerra che non riconoscono come propria e che, nel frattempo, è diventata una guerra di posizione. Come quella del 1915-1918, la prima guerra mondiale, dove conquiste e ritirate si svolgevano, allora come adesso, per dei fazzoletti di terra e con perdite umane che non hanno niente di umano.
Mentre il fronte israeliano è un’escalation molto evidente e molto marcata. Dopo il fronte di Gaza, si sono aperti rapidamente quelli di Cisgiordania, Libano, Iran e Yemen, col rischio di un coinvolgimento globale. E così, nel frattempo, siamo diventati un po’ tutti quanti esperti di droni; sappiamo che cos’è l’iron dom, la cosiddetta «cupola di ferro», il sistema difensivo americano per intercettare i missili scagliati nel cielo d’Israele. Abbiamo visto, praticamente in diretta, anche la morte di un crudele assassino come Yahya Sinwar, capo di Hamas, che comunque avrebbe meritato meno spettacolarizzazione, considerato che si tratta pur sempre di un essere umano che perde la vita. Abbiamo capito anche che cosa sono i proxi iraniani. Tecnicamente, degli “intermediari non statali […] per influenzare gli sviluppi nella regione, permettendo di estendere la sua influenza senza esporsi direttamente”. In parole povere, dei gruppi armati, lautamente finanziati per creare delle zone d’influenza extra territoriali, a cui affidare l’incarico dei lavori sporchi, come nel caso di Hezbollah, delle milizie Houthie, dei gruppi paramilitari iracheni e di quelli al fianco del regime di Bashar al-Assad nella guerra civile siriana.
Sappiamo poco, invece, del perché stiamo vivendo tutto questo. L’incalzare degli eventi ci fa riflettere meno di quanto servirebbe sulle ragioni che ci han portato fin qui e così, siamo ridotti a guardare gli esiti di un rapporto muscolare, documentato ogni giorno, per filo e per segno, soprattutto dalle cronache televisive, in cui alla fine vince solo la violenza. Come in quei film d’azione (insopportabili, da vietare ai maggiori di quarant’anni) dove tutto si riduce a sparatorie, inseguimenti, uccisioni ed esplosioni catastrofiche. La violenza per la violenza. Senza una motivazione apparente, come quell’insensata incursione d’un centinaio di terroristi al rave party nei pressi del Kibbutz di Reim, dove c’era solo musica e ballo, per uccidere oltre un migliaio di persone in poche ore e sequestrare un centinaio d’innocenti. Dopo un anno da quell’orrore, sembra ancora di aver visto un film invece di una folle realtà.
Pensandoci bene, quel che è accaduto è semplicemente l’esito degli ultimi cinquant’anni di tensioni regionali, che si è fatto finta di non vedere. È impossibile dire che cosa sia la questione medio orientale, né in poche né in tante parole. Di certo, è una questione di democrazia, di deficit di democrazia, per la verità. Perché esistono due Israele. Una democratica dove tutti (o quasi) vivono secondo lo stato di diritto e un’altra, affatto democratica, dei territori controllati “dove si applicano due leggi diverse a due popolazioni: gli israeliani, per i quali vige la legge israeliana, e i palestinesi, sotto la legge marziale” (Momigliano, 2023). Gli antichi imperi, come quello romano classico, ma perfino i domini barbarici (longobardo, carolingio, eccetera), seppero concedere ai vinti la possibilità di continuare a vivere secondo le proprie leggi (la cosiddetta personalità del diritto), perché conoscevano bene i rischi esiziali di discriminare i diritti. In Medio Oriente, invece, si è pensato che la forza avrebbe sopito tutto. La supremazia culturale, gli armamenti, la violenza avrebbero messo un velo perenne su contraddizioni insanabili. L’esito di questa visione miope e arrogante adesso, disgraziatamente, la stiamo toccando con mano. E quindi, i media dovrebbero parlar meno di carri armati, droni, eccetera e più di quel che è e dev’essere «democrazia».
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