1976. “Prufesùr”, mi chiama al citofono l’Edoardo Pistoletti, mio magnifico custode del Museo di Villa Mirabello, a Varese.
“Professore, venga che c’è il Taraschi che ha bisogno di lei.”
Taraschi era uno degli operai del Comune che, avendo la patente per guidare i camion, era stato assunto perché serviva allo scopo. Prima lo avresti visto in giro per Varese a rifornire esercizi e privati di bibite di diverse etichette.
Scendo e, andandogli incontro nell’atrio della Villa, gli do la mano e gli chiedo che cosa volesse.
“Professore, venga giù alla Caprera che devo farle vedere qualcosa.”
La Caprera era, ed è, la zona al piede del colle del Mirabello, che affaccia sulla via San Francesco, in direzione del parcheggio ACI.
“Ho avuto l’ordine di sgomberare i magazzini comunali ma ho visto qualcosa che mi è sembrato importante, da non buttare in discarica.”
Scendiamo ed entriamo nel primo magazzino, dove troneggia, in fondo, in un angolo buio e umido, il modello ligneo del campanile di San Vittore di Varese. Ai suoi piedi, più dimesso, un altro modello in legno: quello della Fontana del Mosè eretta a Santa Maria del monte al colmo dell’ultima salita verso il borgo, dopo aver lasciata la Quattordicesima Cappella.
“Taraschi, lei è una grazia ricevuta! Ha trovato due opere d’arte e le ha salvate dal macero, perché lei ha l’occhio per le cose importanti. Grazie, veramente grazie, di aver pensato di venir su al Museo. Anzi, già che ci siamo, facciamo caricare sul camion questi due modelli e li portiamo in Villa Mirabello.”
Detto e fatto non senza aver provveduto a segnalare al Segretario Generale che cosa era successo, e richiedere una giusta considerazione dell’azione fatta dal Taraschi perché, non si sa mai, lo avrebbero potuto accusare di negligenza per non aver svuotato il magazzino, conducendo in discarica due testimonianze storico-artistiche di straordinaria importanza, che i suoi superiori nemmeno sapevano esistessero.
E adesso cerco di spiegarvi di che cosa si tratta.
Premesso che quando i nostri bisnonni o i nostri nonni decidevano di far eseguire un importante progetto edilizio, richiedevano al progettista di fornire un modello, in scala, ma preciso e ben rifinito, del monumento che doveva venire ben valutato e giudicato dai committenti.
Questo del campanile di San Vittore ha una sua storia. Giuseppe Bernascone, il Mancino, ingegnere-architetto di Varese, lo aveva disegnato (e la carta, assai smunta, si conserva nell’archivio di San Vittore). Di più non so. Dopo la sua morte, avvenuta nel tempo della pestilenza del l630 circa, il campanile o meglio la torre campanaria, fondata nel 1617, era stata alzata fino al piano dell’orologio, escluso.
Dal 1678 all’88, la costruzione fu ripresa e portata sino alla quota finita della cella campanaria.
Fu in occasione di questa ripresa che i Fabbricieri di San Vittore ricorsero al progetto del Bernascone e fecero realizzare il monumento salvato dal Taraschi, che oggi si trova esposto al Museo di Villa Mirabello.
Esso, addirittura, risolve la parte conclusiva della torre con l’edicola ottagonale e la copertura a cipolla schiacciata, che allora non fu realizzata, e che si sarebbe messa in opera tra il 1772 ed il 1774, con intervento degli architetti varesini Baroffio che provvidero ad elevarne l’alzato per slanciarlo nella veduta da terra.
Si tratta di un manufatto in legno di noce, perfetto nei particolari architettonici, che rivela la maestria di un artista del legno che potrebbe essere stato Bernardino Castelli di Velate, in quegli anni attivo proprio per conto della Basilica.
Esso misura, all’incirca, metri 3.30 di altezza. Dico all’incirca perché sabato 5 ottobre 2024 sono salito a piedi al Museo, percorrendo il viale disastrato dall’acqua piovana, per rivederlo e misurarlo.
La base, allestita come armadio, è alta cm.110; la fascia dell’orologio cm. 60; la cella campanaria cm. 87; l’edicola conclusiva ho stimato cm. 70 perché non avevo la scala per salirvi vicino e se anche l’avessi avuta avrei corso il rischio di avvoltolarmi su di essa come quel tale nell’aula della seconda liceo B, del Classico Cairoli.
Uscendo dal vano dove alloggia la torre, sfilo di fianco all’armadio settecentesco nel vano scale e scorgo a sinistra, in disparte, al buio, il prospetto ligneo della Fontana del Mosè, pur esso salvato dal Taraschi.
Mi chiedo, e chiedo a chi si interessa della questione: non è il caso di appoggiare sul piccolo mobile settecentesco che sta di fronte al Bernascone, il modello in questione, e chiamare lo spazio dove si ammirano: saletta Taraschi? Per riconoscenza e per rispetto, dal momento che non risulta scritto da nessuna parte perché quei due pezzi si trovino ai Musei di Villa Mirabello. Ve l’ho detto io, e va bene così.
Grazie, Taraschi.
You must be logged in to post a comment Login