Widgetized Section

Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone

Attualità

CARISSIMA VARESE

FABIO GANDINI - 25/10/2024

trattoriaAlcuni forestieri ci prendono in giro: “Ma qual è il piatto tipico di Varese?”, chiedono un po’ maliziosi, mettendo il sale sulla ferita di una provincia evidentemente non celebrata per le sue specialità eno-gastronomiche.

Non sappiamo se possa fungere da risposta ai ghiottoni sarcastici, o meglio un modo per convincerli a non disdegnare una tappa mangereccia nel Varesotto, ma di certo l’aggiornamento 2025 della celebre guida Gambero Rosso – appena pubblicato – arriva come buona nuova e suona le note di una piccola rivincita.

Sono infatti ben 16 i ristoranti locali che la casa editrice ha ritenuto meritevoli quest’anno di una menzione, anzi di una “forchetta”, sul vademecum più illustre della cucina italiana, simbolo di qualità, di eccellenza, anche di una certa esclusività nella proposta. Si va da nord a sud, da Ranco a Origgio, dal pesce alla carne, dalla cucina tradizionale rivisitata a quella più moderna e ardita.

Due forchette sono state conquistate da Le Colonne di Varese, l’Acquarello di Fagnano Olona, l’Acqua di Olgiate Olona e da Ilario Vinciguerra Restaurant di Gallarate. Una forchetta, invece, è stata il premio al lavoro dell’Osteria D’Alberto di Brissago Valtravaglia, del Crotto Valtellina di Malnate, del Ma.Ri.Na di Olgiate Olona e dell’Olio di Origgio. Menzioni minori, ma pur sempre menzioni, per Annetta di Varese, l’Osteria del Sass di Besozzo, la Tavola dell’Hotel Il Porticciolo di Laveno Mombello, il Sui Generis di Saronno, La Piazzetta di Origgio, il Sole di Ranco Valcuvia e Venanzio di Induno Olona.

Sedici approdi varesini su 2425 locali censiti in tutto. La media per provincia è più alta rispetto al dato prealpino, ma il risultato raggiunto pare un buon punto di partenza per “rivalutare” le potenzialità territoriali nel settore. Poi è vero: piatti tipici davvero varesini non ce ne sono. A tenere alta la bandiera ci sono solo i bruscitti, tipicamente bustocchi, recentemente celebrati insieme all’immancabile polenta in una manifestazione che si è tenuta all’ombra di Palazzo Lombardia. Nella Città Giardino esiste poi la confraternita del pesce persico con il riso in cagnone, che mira ad ammantare di una precisa ortodossia un piatto sì tipico, ma dell’intera zona dei laghi.

Lo stesso vale per tante ricette che fanno parte della tradizione di queste lande: la già citata polenta, appunto patrimonio regionale, l’orecchia d’elefante, che arriva da Milano, la cassoeula, sempre meneghina, i risotti (magari con l’ossobuco a fianco), i pesci in carpione e alcuni dolci. Si vive di eco e di periferia, insomma, nella Varese che mangia… Negli ultimi anni si è fatto strada invece il riconoscimento di alcuni prodotti specifici, come le pesche di Monate o la formaggella del luinese, ma si tratta di basi che non trovano ricette riconosciute e rinomate ad accoglierle. Infine i vini. Siamo al cospetto di una zona che nel suo passato ha avuto nei fatti una tradizione vinicola: nel secondo dopoguerra, però, le vigne sono progressivamente sparite dalle balze coltivate, per scelta e convenienza, e così è sparita Varese dalla mappa dei distretti vinicoli. Solo da poco si può apprezzare una nuova luce, accesa da imprenditori coraggiosi che stanno cercando di colmare un buco e di affrontare una concorrenza spietata. La strada sarà molto lunga e non è detto che arrivi a meta.

Il problema più grave dal punto di vista enograstronomico della terra in cui viviamo è tuttavia probabilmente un altro: i prezzi commisurati alla qualità della proposta. A Varese e dintorni mancano del tutto le trattorie, che invece abbondano in ogni (sottolineare l’aggettivo) parte dello Stivale, quei posti con poche pretese ma con una cucina “sincera” e gustosa, della “nonna”, fatta di ricette tipiche (nel caso di specie, se non varesine, almeno lombarde…).

No, qui o si va di Gambero Rosso, ma si tratta di ristoranti dichiaratamente di una categoria superiore, oppure si soggiace alla regola dei 35 euro in sù anche per il banalissimo terno “pizza-birra-caffè”, pagando profumatamente deschi che di notevole hanno solo lo scontrino finale. Pare una moda, cui nessuno si sottrae.

Ridateci i locali alla buona, buoni possibilmente.

Facebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmail

You must be logged in to post a comment Login