È morto a 77 anni Fernando De Maria, insegnante di sport e di vita. Atleta, preparatore fisico, scrittore. Soprattutto uomo buono, pronto ad aiutare chiunque, con la generosità come faro dell’esistenza. Nato il 7 gennaio del ’47 a Vitulano, in Campania, si era trasferito nel ’50 a Varese dove il padre era operaio all’Aermacchi. Protagonista della vita di quartiere a Biumo e Masnago, fece presto a emergere come mezzofondista di qualità. Diventò uno specialista della maratona, avviando a questa disciplina molti appassionati e sfiorando la partecipazione in maglia azzurra a un’Olimpiade. Fernando lascia la moglie e due figli, i funerali si terranno sabato 19 ottobre alle 14.30 nella chiesa di Avigno. Proprio ad Avigno, all’inizio della scorsa estate, presentò l’ultima sua fatica letteraria, Si aspetta la sera. Tra i vari racconti, quello intitolato Esiste ancora la felicità?, che riproponiamo. Con un abbraccio ai carissimi familiari di Nando. Un personaggio che entrerà nella leggenda dei memorabili varesini d’adozione.
Quando penso alla felicità, mi viene in mente la neve. Da bambino, il momento più atteso dell’inverno era veder cadere la neve. Soprattutto quando iniziava a scendere. Prima un pulviscolo… poi, lentamente, in fiocchi grandi, candidi e leggeri.
Nei giorni in cui non c’era scuola, mio fratello ed io passavamo le ore al balcone che dava sui prati della “Carnaga”, accecati dal chiarore di una natura ricca di pace. Era una sfida a chi
“acchiappava” il fiocco più grande.
Crescendo, la vita mi ha insegnato a cercare la felicità nei rapporti umani. Oggi la felicità non esiste più, o meglio, è fatta di attimi che durano il tempo di un sorriso. Ad allontanarla penso sia l’incertezza per il futuro. Un avvenire adombrato da guerre, migrazioni, violenza e cause naturali. A questo dobbiamo aggiungere lo stravolgimento delle abitudini, dovuto in buona parte all’isolamento “forzato” della pandemia. L’impressione che nasce, ascoltando il telegiornale alla sera, è che sia sempre più difficile vivere. Quello che colpisce nel consueto bollettino di guerra, è la brutalità degli eventi con innocenti che muoiono “per nulla”, senza avere il tempo di “assaporare” la felicità. A mio parere, buona parte del problema nasce dalle guide che abbiamo e dalla fiducia che in esse riponiamo. Invece, le notizie diffuse, ci mostrano lo spaccato di un mondo eternamente in guerra con se stesso: una società confusa, infelice e priva di valori. Ce lo mostrano i sempre più numerosi omicidi “casalinghi”, le immagini penose di gente che muore di sete nel deserto e di cadaveri portati a riva dal mare. E poi, Cutro, Giulia… cosa ci ricordano questi nomi? E le guerre? Non bastava quella in Ucraina: ora anche il confitto fra Palestina e Israele con la notizia di bambini decapitati. Ditemi voi: come si fa ad essere felici?
Una volta, al termine della seconda guerra mondiale, c’era negli uomini un grande desiderio di rinascita. Distruzione e povertà erano le cornici nelle quali si muoveva la gente. Eppure, tutti credevano nel futuro. Figlia dello stesso destino era la solidarietà ad unire i popoli. Fra le macerie delle città, auto e camionette americane si muovevano fra i sorrisi. Cosa dicevano? E soprattutto. Osa c’insegnavano? C’insegnavano a cercare la felicità ovunque s’annidi: anche sotto la polvere. In queste giornate di inizio anno, mi accorgo che anche Varese conosce, se non l’oblio, almeno il declino della felicità. Basta muoversi tra le vie del centro per notare la “sonnolenza” dei rapporti umani. Lo evidenziano i portici silenziosi e ne piazze prive della consueta vivacità. Si percepisce nella visione dei negozi vuoti (tranne pizzerie e paninoteche) e nella lentezza degli amanti dello “struscio”. Lo noti nel cicaleccio smorzato degli incontri e nel passo frettoloso di chi esce dagli uffici finanziari. Solo i bambini, impegnati a saziare i piccioni, sorridono.
Se penso alla felicità mi rendo conto che devo cercarla altrove: magari nei ricordi d’infanzia o delle prime amicizie. Un altro aspetto che denota l’assenza di felicità sono oggi i cortei e le manifestazioni di piazza. C’erano 200 mila persone a Roma il 6 ottobre ed altre 60 mila per lo sciopero “dimezzato” il 16 novembre e addirittura 500 mila il 24, sempre di novembre, contro la violenza sulle donne. Forme di protesta giuste, evidenziano il malessere di una società delusa. Così, il luogo dove, rimane la felicità, è la famiglia: un “nido” dove anch’io mi rifugio la sera. Certo, dopo un brutto voto la famiglia può diventare un “tribunale”. Nessun castigo però supera il desiderio di essere perdonato. Il perdono schiude sempre un raggio di sole.
A volte penso che la felicità si sia fermata nel nostro passato e, soprattutto, nello scadimento dei valori. In quel sentimento riposano gli insegnamenti di un maestro delle elementari che
ci chiedeva di amare la Patria, la bandiera e l’Inno di Mameli.
Oggi è difficile vivere. Così, la felicità la ritroviamo nel ricordo dei giochi d’infanzia con la semplicità delle prime amicizie e delle partite all’oratorio. Una pagina a parte merita la gioia che provai il Natale nel quale trovai sotto l’albero la maglietta della Juve…
Crescendo, ho capito che la felicità non esiste: la considero un’illusione, un sogno. Eppure, come tutti, la cerco. La cercano gli allenatori e i calciatori; i disoccupati e gli operai; la cercano gli studenti nelle tendopoli ed i giovani che desiderano crearsi una famiglia. La cercano il Papa, i tifosi e il sacerdote di paese.
Anche i migranti la cercano e, nei loro perversi disegni, i terroristi. Uccidono… non sanno che la felicità è come un fiocco di neve: uno di quegli immensi fiocchi di neve che si sciolgono sorridendo… fra le nostre mani.
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