A prima vista sembra qualcosa che appartiene a un film di fantascienza, nei quali la fantasia si sbizzarrisce pure sul fronte dei razzi e delle astronavi, In realtà l’idea che la propulsione termico-nucleare possa aiutare a superare le enormi distanze che caratterizzano potenziali viaggi nello spazio è logica – una sorta di uovo di Colombo – e, come il famoso rasoio di Occam, offre la soluzione più semplice al problema.
Se n’era già parlato a inizio 2023, con l’annuncio della collaborazione tra la Nasa e la Darpa (Defense Advanced Research Projects Agency) per sviluppare un missile con queste caratteristiche. Ma adesso gli studi proseguono anche su più fronti, secondo il principio che allargare la base dei ricercatori da un lato aumenta la probabilità di trovare la migliore soluzione e dall’altro offre anche la chance di un’interazione tra più progetti. «Anche noi al Georgia Institute of Technology stiamo lavorando al razzo a propulsione nucleare - ha annunciato Dan Kotlyar, professore associato del celebre ateneo di Atlanta – Il gruppo incaricato sta ottimizzando e migliorando i sistemi, usando la simulazione avanzata ma anche realizzando dei modelli in scala».
La finalità di questi sforzi è da legare, ad esempio, alla possibilità di abbattere drasticamente i tempi di andata e ritorno per un viaggio su Marte. Con un razzo tradizionale la stima per completare i 228 milioni di chilometri (in media) che separano la Terra dal Pianeta Rosso parla di un volo che dura dai 6 ai 9 mesi. Altrettanti, dunque, ne servono per tornare. «Ma con la soluzione termico-nucleare – spiega Kotlyar – il tempo si ridurrà almeno alla metà. Penso davvero che nel 2027 Nasa e Darpa saranno in grado di presentare un prototipo funzionante. Aggiungo che questa tecnologia potrà essere utilizzata anche per piattaforme manovrabili destinate a proteggere satelliti che orbitano attorno alla Terra».
La base di tale propulsore nucleare è un reattore a fissione, analogo a quello in uso nelle centrali nucleari terrestri: serve per generare temperature estremamente elevate. Tale calore viene dapprima trasferito a un propellente liquido che si espande, e poi espulso attraverso un ugello posto nella parte terminale del razzo. In questo modo, proprio come accade per i velivoli a reazione, la spinta del gas in uscita genera una propulsione in avanti che permette il rapido movimento della navicella. Grazie a questa tecnologia i nuovi e futuri razzi riusciranno a sviluppare un elevato rapporto spinta-peso, nettamente superiore a quello prodotto dalla propulsione elettrica e con un’efficienza molto maggiore rispetto al sistema chimico convenzionale.
«La diminuzione del tempo di transito è una componente chiave per le future missioni spaziali - ha spiegato Bill Nelson, dal 2021 amministratore della Nasa – I viaggi più lunghi sono più pericolosi per gli astronauti e richiedono maggiori rifornimenti e sistemi più robusti. Infine, i motori nucleari consentiranno anche una superiore capacità di carico scientifico e una maggiore quantità di energia per la strumentazione di bordo e per quella atta alle comunicazioni». L’ente spaziale statunitense aveva interrotto 50 anni fa gli studi sulla propulsione nucleare. Fu una delle scelte strane e obiettivamente incomprensibili. Ma per rimediare non è mai troppo tardi, soprattutto se nel mirino ci sono obiettivi tutt’altro che semplici.
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