Secondo alcuni il nome di Varese trarrebbe origine dal celtico Var, ovverosia acqua a sottendere l’estrema ricchezza che il nostro territorio ha di questo bene prezioso. Il Varesotto è terra di laghi – la famosa “Provincia dei Sette Laghi” dei nostri libri delle elementari -, di fiumi, di torrenti, di stagni e di pozze. Ovunque l’acqua abbonda e rappresenta una caratteristica e una presenza famigliare del nostro paesaggio. A Varese poi si dice che piova sempre; i varesini si sentono un po’ rassegnati a questa peculiarità identificativa del loro territorio. La pioggia è entrata nel quotidiano, nel nostro DNA quasi fossimo irlandesi o scozzesi; e con le piogge arrivano periodicamente a Varese anche i guai.
I nostri molti fiumi, i torrenti all’apparenza innocui, talvolta si gonfiano a dismisura e tracimano.
Nei secoli Varese ha sempre convissuto con inondazioni, anche violente ed improvvise. Chi non ricorda la tracimazione e i disastri causati dall’Olona che esondò una decina d’anni fa alla confluenza con il Vellone alla Folla di Malnate? Anche il Vellone è stato spesso causa di guai seri; l’ultimo, alcuni anni addietro quando il torrente, gonfio di piogge intense e prolungate, costretto ed incanalato in pertugi sotterranei, è letteralmente scoppiato invadendo attività commerciali e case lungo il suo asse di scorrimento della Via Sanvito.
Italiani popolo di santi, poeti e navigatori; di ingegneri idraulici, aggiungerei io. L’ingegneria idraulica è scienza difficile e nobile; lo studio dei fluidi, la capacità di regolarli, di incanalarli, di addomesticarli, di piegarli ai desideri e alle necessità dell’uomo sono sempre stati un fiore all’occhiello del genio italiano.
Gli antichi romani costruirono ovunque mirabili acquedotti di superficie riuscendo a portare l’acqua a centinaia di chilometri di distanza semplicemente sfruttando le pendenze del terreno; furono anche maestri nelle bonifiche e nei drenaggi di acquitrini e aree malsane strappando alle acque stagnanti intere regioni che trasformarono in fertilissimi campi agricoli. Le nostre tradizioni ingegneristiche si sono tramandate nei secoli, di generazione in generazione, fino ai nostri giorni.
Pochi varesini lo sanno, ma anche Varese si è distinta nei secoli passati per le sue opere idrauliche andando a regolare ed incanalare il flusso del suo corso d’acqua principale, quello che scorre nel suo centro, il Vellone. Dalle pendici del Sacro Monte, in prossimità della località Ceppo, dove nasce, il Vellone scorre nell’angusta e ripida valletta che scende verso Velate per poi raggiungere Masnago. Un bell’articolo comparso nel 2000 sulla Rivista Tracce, a firma Metra-Cottini, ricostituisce le vicende del fiume Vellone.
È quasi certo, ma non esistono prove in merito, che all’altezza della Carnaga di Masnago il Vellone un tempo deviasse naturalmente verso sud per immettersi, lungo la Valle Luna, nel Lago di Varese. Gli orti di Varese, allora piccolo borgo medioevale, necessitavano di acqua sempre disponibile; di qui la decisione di deviare il corso del torrente verso est, verso Varese. La deviazione, la forzatura sulla natura portarono però, oltre a vantaggi, anche imprevisti e disgrazie; divennero frequenti le inondazioni del centro cittadino non appena una pioggia intensa ingrossava l’alveo del fiume deviato. Si arrivò dunque nel XVII secolo alla decisione, per attutire la forza delle acque nei periodi di piena, di dividere il corso in più rami; in tal modo poi si rispondeva anche all’esigenza di portare l’acqua in zone più diffuse ed ampie del territorio. Al corso originario del fiume che attraversava il borgo lungo un asse settentrionale passando per le attuali vie Crispi, Morandi, Vetera, Dandolo fino a Belforte se ne aggiunse uno meridionale – che poi è rimasto quello utilizzato – lungo l’asse Via Veratti, Piazza Monte Grappa, Via Magatti, Via Morosini e Via Monte Santo dove avveniva il ricongiungimento dei rami. È probabile anche l’esistenza di un ramo di deviazione settentrionale che toccava Piazza Cacciatori delle Alpi e proseguiva verso Biumo Inferiore.
Nel corso del XX secolo il tratto cittadino del Vellone fu completamente ricoperto e si crearono due scolmatori di piena che attraversano la città a nord e a sud del centro cittadino.
Un fiume dunque fantasma, della cui presenza i varesini sembrano accorgersi solo in occasione di eventi atmosferici eccezionali e rovinosi come accadde un paio d’anni addietro quando la sezione del canale risultò insufficiente a contenere l’onda di piena e il Vellone in un attimo e con una furia devastante esondò causando danni incalcolabili agli immobili in fregio a Via Sanvito.
È di questi giorni la buona notizia di un accordo di partenariato tra Comune di Varese e Parco Regionale del Campo dei Fiori per un progetto di “ Riqualificazione delle sorgenti del fiume Olona e della testata del torrente Vellone”. Il progetto è finanziato dalla Regione Lombardia con un milione di Euro e prevede, oltre alla sistemazione delle sorgenti dell’Olona, anche lo studio della regimentazione delle acque del Vellone con la creazione di vasche di laminazione in zona Masnago. Studi del Politecnico di Milano hanno infatti evidenziato che è necessario creare, per scongiurare future esondazioni, bacini di raccolta capaci di stoccare fino a trentamila metri cubi di acqua. L’accordo si lega ad un altro importante finanziamento del Ministero dell’Ambiente legato all’Olona e al Vellone per la messa in sicurezza dei corsi d’acqua, pari a oltre cinque milioni di Euro, da cui si trarranno i fondi appunto per la costruzione delle vasche.
È al via dunque la fase di studio affidata al competente ufficio comunale guidato dal geologo dottor Paolo Pozzi . Dopo anni di incuria, pare sia arrivato il tempo per una maggiore attenzione per i nostri fiumi e i nostri torrenti. Gli ultimi interventi consistenti per la messa in sicurezza delle nostre acque risalgono agli anni ’20 del secolo scorso. Dopo quasi cent’anni pare avviato un organico piano d’interventi: era ora!
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