Negli anni ottanta – novanta si è teorizzato un principio assolutamente inedito nella storia economica dei paesi più sviluppati, quello dell’indifferenza del management rispetto al prodotto di un’azienda. Con altre parole significa che un valente amministratore delegato o direttore generale di un’impresa produttrice di caramelle e cioccolatini dovrebbe risultare altrettanto bravo e lungimirante in un’azienda di scarpe o di viti e bulloni. Il che, pur altamente improbabile, potrebbe anche risultare vero almeno in determinati casi. È in ossequio a questo principio che vanno lette le recenti nomine fatte dal Presidente del Consiglio Mario Monti per i vertici della Rai: Anna Maria Tarantola vice-direttore generale di Bankitalia, dove lavora senza soluzione di continuità dal 1971, è stata indicata alla Presidenza; Luigi Gubitosi, già amministratore delegato di Wind Telecomunicazioni fino all’ aprile 2011, prima alla Fiat poi a Bank of America, infine docente alla LUISS, alla direzione generale. Ironizzando, qualcuno ha detto che se fosse nei poteri del Presidente del Consiglio anche per la nomina del CT della nazionale di calcio di sicuro ci ritroveremmo con un banchiere a bordo campo al posto di Prandelli.
Certo la Rai ha tanti endemici problemi da risolvere tra i quali una attenta analisi delle spese, dei gettoni spropositati distribuiti agli intrattenitori/trici di turno, cioè ai “cretini di talento” come li definiva Giorgio Bocca, per non parlare degli appalti esterni quasi sempre legati a clientele politiche, a “mafie” familistiche e via elencando. Insomma la dottoressa Tarantola e il dottor Gubitosi di sicuro si dimostreranno degli ottimi raddrizzatori di bilancio, degli occhiuti revisori delle spese, delle vecchie volpi degli sprechi ma questa, anche se molto importante, è solo una faccia del più vasto problema RAI, azienda occupata da sempre dai partiti politici e dai loro sodali compresi naturalmente decine e decine di giornalisti. Da troppo tempo non corrisponde più alla sua funzione di servizio pubblico appiattita com’è, salvo lodevoli eccezioni, sui palinsesti della concorrenza dei canali commerciali. Detto questo non bisogna tuttavia dimenticare che, nonostante tutto, si tratta pur sempre della più grande impresa culturale del paese che a livello radiotelevisivo produce informazione, cultura, intrattenimento, musica, spettacolo, sport, cinema, fiction, trasmissioni per ragazzi.
Servono idee, invenzioni, sperimentazioni, volti nuovi, in definitiva una linea editoriale capace di rivoluzionare l’azienda nei metodi e di rilanciarla nel giorno dopo giorno perché non brilla nonostante gli arretramenti negli ascolti e nel gradimento della principale concorrente Mediaset. Per cambiare passo nei programmi e inventarne di nuovi evitando le derive dei reality e di altro ciarpame televisivo, servono persone con competenze specifiche, inevitabilmente assai diverse da quelle dei top manager scelti da Monti. Da questo punto di vista non esaltano neppure le “primarie” svolte dal PD tra le associazioni amiche o quanto meno non ostili, per individuare due nomi da proporre per il nuovo consiglio d’amministrazione presto in votazione alla Commissione di Vigilanza. Sono usciti due nomi degnissimi: l’ex magistrato Gherardo Colombo e la giovane conduttrice radiofonica RAI Benedetta Tobagi, figlia di Walter il collega del Corriere ucciso dalla Brigate Rosse. Difficile davvero dar torto a Daniela Brancati, ex direttore del Tg3 e auto-candidata che ha commentato: “Felice per Colombo alla RAI, a quando io a dirigere il Palazzo di Giustizia?”.
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