Le incombenze del caso.
Seguono.
Ambulanza arrivata inutilmente.
Medico, poi.
Constatazione del decesso.
Polizia.
Mi chiedono e riferisco.
Non del portadisegni.
Un paio d’ore di casino.
Poi, appena solo, torno alla ventitré e recupero l’attrezzo.
Scendo nel garage sotterraneo e lo metto nel bagagliaio della macchina.
Non mi ha visto nessuno.
Sono le otto e trenta.
Ho finito il turno ed è arrivato il collega.
In auto.
Adesso, il coso è poggiato sul sedile posteriore.
Quattrocento metri e quella tranquilla traversa in mezzo ai campi.
Sa il diavolo e ne conoscerò anche io tra un minuto il contenuto.
È chiuso alle estremità.
A fatica, apro.
Biglietti da cinquecento euro a non finire.
Penso immediatamente al fatto che non sono praticamente più utilizzabili.
E subito dopo che la Svizzera è a un passo e a loro i nostri limiti fanno un baffo.
Calma.
Non so neppure quanti siano.
A casa a contarli adesso?
Neanche per sogno.
Con ogni probabilità – non posso credere che fossero soldi suoi e li portasse a spasso in quel modo – qualcuno che conosce cosa stava facendo quel desso in albergo, chi aspettasse e a cosa servivano quei denari mi sta già cercando o fra poco lo farà.
E può essere pericoloso, no?
Scartata immediatamente – davvero in un attimo – l’idea di andare dai Carabinieri o dalla Polizia, riparto.
Il posteggio sotterraneo con garage separati di via…
Ho chiuso la saracinesca.
Conto.
Roba lunga.
Millecinquecento bigliettoni.
Settecentocinquantamila svanziche
Tante?
Nel fare, speravo fossero di più.
Mica male.
Ma non è una stoccata definitiva.
E adesso, come ne vengo fuori?
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