Tra una denuncia delle guerre dei potenti che straziano i popoli dell’Ucraina e del Medio Oriente, un’assemblea del Sinodo e un pensiero al Giubileo che inaugurerà la vigilia di Natale, il papa ha annunciato il suo decimo concistoro che si terrà l’8 dicembre e proclamerà ventuno nuovi cardinali. Tra novità e conferme. Torino riavrà finalmente un cardinale, il teologo Roberto Repole, attuale arcivescovo del capoluogo piemontese. La conferma riguarda invece la consuetudine, ormai decaduta con Francesco, secondo cui gli arcivescovi delle tradizionali sedi “cardinalizie” ricevevano automaticamente la porpora. Mancano ancora all’appello Firenze, Genova, Napoli, Palermo, Milano – la diocesi più grande del mondo con sei milioni di fedeli – e Venezia, priva del suo patriarca contrariamente alla sua storia secolare. Per ora restano tutte senza rappresentanza nel sacro collegio.
Fa un certo effetto pensare che gli ultimi papi italiani, tranne Eugenio Pacelli che fece carriera nella Germania nazista, sono passati da Milano o da Venezia: Angelo Roncalli, Giovanni Battista Montini, Albino Luciani, Achille Ratti, Giuseppe Sarto (poi papa Pio X), nonché l’arcivescovo Carlo Maria Martini che tanti avrebbero visto volentieri sul trono di Pietro. È uno sgarbo di Bergoglio alla Chiesa italiana come sostengono i suoi nemici? O piuttosto la volontà di Francesco di premiare i singoli vescovi e i semplici frati per l’opera svolta in zone particolarmente disagiate? O è ancora il suo drastico modo di disincentivare l’odiato carrierismo clericale che in passato è cresciuto a dismisura nei corridoi vaticani?
Quale che sia la motivazione, l’impronta di Francesco si fa sempre più sentire nel collegio cardinalizio che il papa vuole armonioso “come un’orchestra sinfonica” e che deve prefigurare la chiesa delle periferie sempre meno europea e perennemente in missione sulle strade del mondo. Annunciando il concistoro all’Angelus, lo stesso pontefice ha tenuto a precisare: “La provenienza dei nuovi cardinali esprime l’universalità della Chiesa”. Universale sarà anche la composizione del prossimo conclave con 57 cardinali europei e 84 provenienti dal resto del mondo (dalle tre Americhe, dall’Africa, dall’Asia e dall’Oceania). Soprattutto sarà a forte, fortissima connotazione bergogliana.
Una larga maggioranza delle berrette rosse che dopo l’8 dicembre comporranno il collegio cardinalizio è stata scelta dal papa argentino, 111 su 141 (non tutte con potere di voto, gli ultraottantenni sono esclusi), ventiquattro nominate da Benedetto XVI e sei da Giovanni Paolo II. Con monsignor Lepore riceveranno la porpora altri tre italiani: il nunzio apostolico a riposo Angelo Acerbi, 99 anni (escluso automaticamente dalla Cappella Sistina), il padre scalabriniano Fabio Baggio, sottosegretario ai migranti e responsabile delle questioni sociali e monsignor Baldassarre Reina, siciliano, nuovo vicario per la diocesi di Roma.
Il gruppo italiano rimane il più consistente in un futuro conclave ma il peso specifico nel sacro collegio è diminuito negli anni: oggi conta diciotto porporati su 141, nel 2013 erano ventotto su 115. Sono cresciuti anche i Paesi rappresentati: nel 2013 erano 48, da dicembre saranno 73. Tra le nuove nomine Francesco ha annunciato quelle dell’arcivescovo belga Mathieu a Teheran, dell’ucraino Bychok a Melbourne, del giapponese Kikuchi a Tokio, del francese Vesco ad Algeri, del teologo del Sinodo Radcliffe e dell’organizzatore dei viaggi del papa, l’indiano Koovakad. A fronte dei tanti cardinali provenienti da angoli remoti del globo, resta senza porpora una sede storica cardinalizia come Parigi.
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