Sul fronte politico uno dei temi più “caldi” di questo inizio autunno continua ad essere quello della nuova legge sull’autonomia differenziata approvata dal Parlamento prima dell’estate. Contro questa legge è stata presentata una domanda di referendum abrogativo che ha raccolto oltre un milione e trecentomila firme. Ma intanto si è avviato un tavolo di trattativa tra il governo e quattro Regioni (Veneto, Lombardia, Piemonte e Liguria) sulle deleghe delle prime materie su cui le stesse Regioni chiedono di avere totale competenza.
La legge è stata fortemente sostenuta dalla Lega ed è parte essenziale degli accordi di maggioranza con i quali è nato il Governo di Giorgia Meloni. Una legge presentata come l’attuazione della riforma costituzionale che nel 2001 venne approvata sulla spinta dei Governi di centro-sinistra, riforma che, insieme alle materie con competenza esclusiva o concorrente, prevedeva abbastanza genericamente la possibilità di riconoscere diversi livelli di autonomia alle Regioni a statuto ordinario.
La legge appena approvata è stata sostenuta e difesa del ministro, ovviamente leghista, degli affari regionali e le autonomie, Roberto Calderoli e ha come obiettivo di estendere le competenze regionali secondo le richieste di ciascuna regione: da questo deriva il fatto che sia “differenziata”. Le materie interessate sono in parte dipendenti dal raggiungimento dei cosiddetti Lep (Livelli essenziali di prestazioni) come la sanità e l’istruzione, in parte disponibili dopo un accordo Stato-regioni come il commercio estero e la protezione civile.
“Una legge inutile”. Ha commentato in un recente convegno il costituzionalista Vincenzo Satta puntando il dito soprattutto sul fatto che la legge non prevede ulteriori spese da parte dello Stato e quindi non si vede come le regioni possono raggiungere livelli più virtuosi aggiungendo competenze e funzioni.
Ma l’attuazione di una riforma sbagliata, come quella del 2001, non può che dar luogo ad una moltiplicazione dei problemi frantumando le competenze che, nella crescente complessità socio-economica, andrebbero difese non tanto dalla Stato, ma a livello europeo.
Si può ricordare che a metà settembre, come ha sottolineato Sandro Frigerio nel numero scorso, il sindaco di Varese, Davide Galimberti, è stato nominato Ambasciatore della Grande Milano nel Mondo, un’iniziativa del Centro studi Grande Milano nell’ambito del progetto “un’ora da Milano, da Milano in un’ora” con esplicito riferimento alla collegabilità della metropoli con altri centri nell’arco di 60 minuti. Ebbene tra queste città ci sono, oltre ovviamente a Varese, anche Bologna, Genova, Torino, Lugano, Brescia (e presto anche Verona). Un’area vasta che va ben oltre i confini regionali, e anche nazionali. Un’area in cui una crescita armonica può favorire lo sviluppo al di là e al di sopra dei vincoli di crescenti normative regionali.
Una notizia importante per Varese: non si può fermare l’attenzione ai soli collegamenti con Milano, pena il rischio di ruoli sempre più dipendenti e marginali per il territorio.
You must be logged in to post a comment Login