Se si scrive su un grande giornale ci vuole un certo coraggio in Italia ad indicare i sindacati come principali responsabili della disastrosa situazione della scuola statale. È vero, ma non si deve dirlo, e infatti non lo sente mai dire.
C’è perciò da ammirare Ernesto Galli della Loggia per aver avuto il coraggio di rompere tale tabù scrivendolo nientemeno che sul Corriere della Sera in un articolo che il giornale ha intitolato, forse per rassicurare i sindacati “Il cambiamento nelle scuole: indispensabile (quanto lontano)”.
In Italia tutti i sindacati della scuola, sottolinea Galli della Loggia, a partire dal principale, che fa parte della Cgil, non si interessano affatto alla qualità del servizio “ma sanno di un solo argomento e solo ad esso sono interessati: assunzioni e retribuzioni (naturalmente la Cgil si sente anche impegnata a manifestare la sua obbligatoria avversione per ogni governo che non sia di centrosinistra). E quindi per essi ogni politica scolastica si riduce di fatto a un’unica cosa: al livello delle retribuzioni e al numero degli addetti precari o no che siano (…). E proprio sul tema delle retribuzioni i sindacati svolgono un ruolo che si rivela nefasto. Essi infatti sono convinti da sempre che la progressione degli stipendi debba essere definita dall’anzianità, in nessun caso dal merito. (…) Per i sindacati della scuola lo stipendio uguale per tutti a prescindere dal merito è una necessità vitale”. Tale stato di cose condanna la scuola, osserva Galli della Loggia a un “minaccioso declino” destinato “ai suoi esiti più disastrosi fintanto che l’opinione pubblica non aprirà gli occhi e starà muta e passiva ad assistere al triste spettacolo”.
Tutto vero ma irrisolvibile, osservo per parte mia, finché si resta nell’ambito del moloch del monopolio statale della scuola semigratuita. Sarebbe bello se Galli della Loggia andasse oltre fino a riconoscere ed a denunciare che in tale quadro non c’è alcuna possibilità di tenere concretamente conto del merito degli insegnanti perché non c’è alcun modo di misurarlo in modo obiettivo. Essendo infatti un monopolio, la scuola statale, come ogni monopolio, prescinde per natura sua dal gradimento dell’utente, e quindi dall’unico criterio possibile per misurare obiettivamente la qualità di un servizio pubblico.
Per risolvere il problema occorre rompere il monopolio, e dunque da una parte creare le condizioni in forza delle quali le scuole paritarie e quelle statali possano offrire i loro servizi al medesimo costo per gli utenti. E dall’altra all’interno delle scuole statali gli insegnanti possano reciprocamente scegliersi e creare sezioni caratterizzate da una propria esplicita offerta formativa tra le quali gli utenti abbiano modo di scegliere liberamente. Sulla base del gradimento ottenuto da ciascuna di esse lo Stato sarebbe così in condizione di poter riconoscere in modo obiettivo il merito degli insegnanti.
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