Domenica 17 giugno, con la dedica della piazzetta d’accesso al cimitero di Bizzozero, abbiamo voluto ancora ricordare Bruno Ravasi, architetto varesino.
Era nato nel 1911 a Varese e attraversò, per la sua formazione, parte del ventennio di regime e il conflitto mondiale. Poi il controverso dopoguerra durante il quale, con occhio critico, progettò molto, con diverse committenze soprattutto ecclesiastiche ma non solo.
Ebbe la fortuna di conoscere artisti celebri, promosse Arcumeggia paese di pittori, organizzò importanti iniziative espositive in Varese negli anni Cinquanta. Era progettista e realizzatore con idee precise. Determinato nel progetto e per il ruolo dell’architettura.
Non ho potuto conoscerlo abbastanza per ragione forse di età o del diverso ruolo che avevamo in Varese. Io in quel tempo ero impegnato nella politica cittadina e ho partecipato, come assessore alla cultura, al sostegno per il restauro dell’antica chiesa di Santo Stefano a Bizzozero dove ho anche avuto recentemente il compito di dare un mio contributo professionale per alcuni completamenti della copertura.
Osservo spesso le sue numerose opere dedicate al progetto, al restauro, all’integrazione di chiese varesine. Ricordo il suo legame con monsignor Manfredini allora prevosto di Varese e la sistemazione innovativa dell’altare in San Vittore, al centro di una nuova piattaforma che lo avvicinava ai fedeli.
Considero la sua formazione culturale e di progettista all’interno di una vicenda complessa che caratterizzò con le sue oscillazioni e contraddizioni gli anni ’30 del secolo scorso, che lasciò segni indelebili nella visione progettuale di architetti trentenni ancora oggi ricordati, che furono anche miei maestri nel dopoguerra.
L’insegnamento di Gropius e della Bauhaus tedesca, le illusioni che il regime sapeva additare alle speranze giovanili, la sua richiesta di monumentalità celebrativa, la nefasta debolezza nei confronti dell’esperienza nazista.
Per Ravasi, credo, fu decisiva l’esperienza di collaborazione con l’architetto Pagano, direttore di Casabella alla fine degli anni ‘30, morto a Mauthausen nel 1945. E un dopoguerra culturalmente impreparato a livello amministrativo per la gestione delle città che permise di redigere Piani regolatori disastrosamente distruttivi, da Ravasi sofferto.
Anche Varese ha pagato molto al riguardo e Ravasi faceva le sue battaglie.
Grande disegnatore, innamorato del nostro passato, aveva una visone molto personale del suo ruolo.
Sentiva la necessità di essere molto attivo, di impiegare nel progetto e nelle opere la sua giornata. Ci ha lasciato nel 1978.
Ho davanti a me il bel libro che ricorda la sua attività e la sua vita di relazioni pubblicato in occasione della mostra che gli è stata dedicata dal Liceo artistico varesino nel 2002 curato in articolare da Alberto Ferrari, che concluse, con il nipote Guido Zanzi, il progetto per il castello di Pavia.
Il ricordo di Pino Terziroli, la presenza di amministratori comunali per la dedica a Bruno dell’ingresso al Camposanto di Santo Stefano è stato una partecipazione di affetto e di ringraziamento.
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