Eravamo partiti da Roma, giovani diaconi prossimi all’ordinazione, con la sola benedizione di San Paolo VI, che non poté riceverci in udienza per motivi di salute… A 50 anni di distanza siamo tornati a Roma giorni fa, e lì anche papa Francesco, finita l’udienza del mercoledì, ha posato con noi solo… per la foto di gruppo, date la sua fragilità, nota a tutti.
Erano due appuntamenti molto attesi: il primo per sentirci inviati a nome della Chiesa, da cui avremmo ricevuto l’ordinazione e la prima destinazione, il secondo per avere l’occasione di riflettere sul cammino percorso e cogliere il senso dell’impegno che continua, anche in modalità diverse.
Se viene spontaneo fare un bilancio relativo al passato, è per ritrovare la “freschezza” di quel sì definitivo detto al Vescovo l’8 giugno 1974 e rivivere la temperie spirituale degli inizi del nostro ministero.
Col passare degli anni si è fatta sentire qualche stanchezza oltre alla “complessità” di un mondo che sta profondamente cambiando in ordine alla fede. Infatti le trasformazioni avvenute nella Chiesa come nella nostra persona hanno talora ingenerato un senso di smarrimento e magari anche di impotenza…
Allora ritrovarci a Roma per tre giorni come classe è servito a riprovare il gusto di stare insieme, condividendo momenti liturgici e scambi fraterni con due nostri antichi docenti del Seminario: coi Cardinali Coccopalmerio e Ravasi abbiamo conosciuto da vicino la struttura della Curia Vaticana e approfondito familiarmente la portata di eventi storici come il Giubileo del 2025 e l’imminente sinodo della Chiesa cattolica.
Come osserva un teologo, oggi tutti avvertono il pericolo di una ‘religione senza fibre’ che predica «un Dio senza rabbia che conduce uomini senza peccato verso un regno senza prova attraverso un Cristo senza croce» (Reinhold Niebuhr).
Ecco perché abbiamo sostato sul luogo del martirio di Pietro e davanti alle tombe dei Papi santi del nostro tempo, comprendendo che essere cristiani non è cercare il Dio che mi si addice e dice sì a tutto, ma incontrare il Dio che, proprio per essere Amico, risveglia la mia responsabilità e quindi, più di una volta, mi fa soffrire, gridare e tacere.
Scoprire il vangelo come fonte di vita e stimolo per una crescita sana non ci rende “immuni” alla sofferenza. Cristo infatti fa godere e soffrire, conforta e inquieta, sostiene e contraddice. Ma solo Lui è la strada, la verità e la vita.
L’impegno ribadito a conclusione del viaggio è di essere con più viva gratitudine, convinzione e coraggio dei “pellegrini e testimoni di speranza”.
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