Il 16 ottobre 1987 a Mosca, sull’onda di Dostoevskij, fummo ricevuti nella sala delle riunioni, al primo piano della sede dell’Unione degli Artisti Sovietici, nella già ricordata sede di Boulevard Gogolevskj.
Ci aspettava Tair Salakov, primo segretario dell’Unione, che prese il posto a capo del tavolo con accanto Anatoly Ryzhnikov, capo del Dipartimento delle Relazioni Internazionali dell’Unione degli Artisti.
Sul lato lungo del tavolo, alla sua destra il Sindaco di Varese, Maurizio Sabatini, Salvatore Caminiti, assessore alla cultura del Comune, ed accanto a lui io, direttore dei Musei Civici di Varese.
Alla sua sinistra la segretaria particolare di Salakov, che verbalizzava. Quando fu messa al corrente dell’iniziativa, smise di scrivere. Salakov, senza scomporsi, disse: Noi faremo questo gemellaggio artistico tra Mosca e Varese. Quella si riebbe immediatamente e cercò sulla carta politica dell’Europa dove fosse Varese. Le venni in aiuto dicendo: Vicino a Milano.
Superato il momento di sconcerto: mettere accanto a Mosca, alla grande Mosca, la piccola Varese, fu senz’altro un azzardo, ma per fortuna erano i tempi di Gorbaciov e le istruzioni erano di aprirsi all’Occidente. Che poi fosse la piccola Varese a confrontarsi con la grande Mosca è un altro paio di maniche. A noi andò bene così.
Discutemmo le modalità della spedizione. A loro sarebbe spettata ovviamente la scelta degli artisti, e si sarebbero accollati le spese di trasferimento delle opere, via aerea, l’assicurazione andata e ritorno, la trasmissione del materiale fotografico per il catalogo la cui stampa sarebbe toccata a noi, come fu con La Tipografica Varese. A noi ovviamente l’ospitalità degli artisti che sarebbero venuti a spese dell’Unione ad assistere alla esposizione delle opere cui avrei provveduto io nelle sale dei Musei di Villa Mirabello.
Salakov indicò nella dottoressa Sharofat Anarkulova la persona che avrebbe curato tutta l’operazione e quella minuta persona, tutta vestita di nero, che stava dalla parte opposta del capo, prese nota e mi guardò di sfuggita perché avrebbe dovuto lavorare con me. Diventammo amici sinceri nel corso di tutte le spedizioni successive, di andata e di ritorno.
L’incontro fu suggellato con un pranzo organizzato all’interno della sede dell’Unione, nella sala a piano terra. Fu accoglientissimo e dovemmo adeguarci al consueto rito del brindisi che, in certi momenti, il capo tavola, Tair Salakov, avrebbe fatto. Si sarebbe alzato, bicchiere di vodka in mano, avrebbe espresso parole adeguate all’incontro, e invitato tutti i commensali a brindare. Il sindaco e l’assessore Caminiti, per contro, ebbero a rispondere alla stesso modo, ed infine toccò pure a me. Ma la lezione, presto appresa, era quella di non limitarsi a bere ma di gustare le svariate sapide vivande per temperare gli ardori della vodka che, imparai allora, si doveva bere a temperatura ambiente.
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