Per ora è fantasia. Ma circola. E racconta d’un possibile incaglio governativo all’inizio del ’25. Ciò che non condurrebbe al mega-rimpasto dell’esecutivo (la premier lo aborre: teme perfide sorprese), a rivoluzioni di palazzo (non esiste una maggioranza parlamentare alternativa a questa) e neppure a un governo tecnico (ne abbiamo avuti fin troppi). Condurrebbe a un ritorno alle urne: un derapage pilotato. Opzione non sgradita alla Meloni. I sondaggi la danno solida al comando, a temere stangate debbono semmai essere i suoi partner, Salvini e Tajani.
Naturalmente nessuno nel centrodestra s’azzarda a vaticinare interruzioni di legislatura. Cinque anni devono essere, cinque anni saranno. Davvero? Mah. Non certo perché l’opposizione ha velleità di scombinare l’esistente: il dissidio Conte-Schlein, per mezzo d’un Renzi stavolta incolpevole, è lì a raccontare del campo largo scomparso, se mai è esistito. Possono reggere -forse, qui e là- intese a livello amministrativo, per il resto si sta come d’autunno sugli alberi le foglie. È Ungaretti il leader del centrosinistra.
Tuttavia eventi esterni potrebbero insidiare la navigazione meloniana. Per esempio (1) l’esito delle elezioni americane, il cui rimbalzo s’annuncia planetario. Se vince Trump, l’onda lunga investirà l’Europa, noi compresi. Avviando la gara a ingraziarsi il tycoon populista/putiniano, con inimmaginabili derive. Per esempio (2) gli sviluppi dei conflitti in Ucraina e Medio Oriente, verso i quali le posizioni dei nostri leader appaiono caute, ambigue, pronte a qualsivoglia cinico capottamento. Per esempio (3) l’esito finale/esiziale della manovra finanziaria, che casserà la miriade di promesse elettorali, con relative proteste di massa, gioco a scaricabarile degli alleati FdI-Lega-Forza Italia, dispetti reciproci eccetera. Una serie impressionante di fuochi: accesi uno dopo l’altro, sembrano in grado di bruciare qualunque intesa politica, oltre che qualsiasi pronostico.
Forse a questi scenari s’ispirano le recenti sortite di Salvini su un versante e di Conte sull’altro. Non che i due abbiano in mente l’abbraccio al modo del ’19, però guardano oltre il presente e forse, chi lo sa, prevedono un futuro che li vedrà interpretare uno standing diverso dall’attuale. Ciascuno per sé, indipendentemente dall’alleanza di cui fa parte oggi. Mani libere, ecco la determinazione affiorante, nella non irragionevole ipotesi che nel giro di pochi mesi tutto cambierà. Ne è consapevole anche la presidente del Consiglio, cui in fondo gioverebbe il disfare per poi rifare, tra l’altro allontanando nel tempo consultazioni referendarie verso le quali non manifesta simpatia. Il voto anticipato svolgerebbe la funzione di verifica di mid term affidata ai cittadini anziché ai partiti o comunque in tal modo si avrebbe l’agio di raccontarla, nel solco del rapporto d’immaginifica democrazia diretta fra chi comanda e chi è comandato. Che sembra restar caro all’ex underdog.
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