Da quando è stata introdotta la 194/78, che permette l’aborto, noi volontari dei Centri di aiuto alla vita abbiamo cercato di aiutare le mamme in attesa di un bambino a superare le cause che possono indurle all’interruzione della gravidanza.
Abbiamo sempre pensato che la maternità non dovrebbe essere vissuta come una limitazione per la vita personale delle donne, ma come un dono da accogliere con gratitudine.
La nascita di un bambino dovrebbe essere una gioia per i genitori e per la società intera.
L’aborto invece va nella direzione opposta: non porta gioia, anzi provoca una profonda ferita, innanzitutto nell’animo della donna, e ha anche delle ricadute morali, psicologiche, spirituali su tutti coloro che con quel bambino hanno un legame.
Per esempio, noi volontarie proviamo dolore quando le mamme non si lasciano aiutare, non distolgono lo sguardo dai loro problemi, non riconoscono che il loro bambino porterà loro una grande gioia e decidono di abortire.
Al contrario, sentiamo una letizia immensa, quando le future mamme accettano il nostro aiuto, sentono di non essere sole ad affrontare le difficoltà e decidono di accogliere il loro piccolo.
Chi salva un bambino salva la mamma e il mondo intero
Ma perché oggi, al contrario di qualche anno fa, è più difficile incontrare mamme con gravidanze difficili, che si rivolgono a noi volontarie per essere aiutate?
Sarebbe bello pensare che il motivo è la diminuzione degli aborti e che la nostra società ha finalmente capito l’importanza della tutela della vita nascente. Purtroppo non è così.
In passato, come previsto dalla legge 194/78, esisteva solo l’aborto chirurgico, fatto in Ospedale entro la dodicesima settimana, che può essere protratto oltre 90 giorni di gestazione se ci sono pericoli di salute per la mamma.
Da un po’ di anni e sempre più in aumento, ci sono gli aborti farmacologici. I dati del Ministero rivelano che nel 2023 gli aborti fatti con la pillola RU 486 sono stati il 45,3% del totale (contro il 50,7% degli aborti chirurgici). Questa pillola può essere assunta entro la nona settimana di gravidanza e le mamme che ricorrono a questo tipo di aborto hanno pochi giorni per riflettere, sono sempre più sole nel loro dramma e noi volontarie difficilmente riusciamo ad incontrarle per offrire loro qualsiasi tipo di aiuto.
Impossibile poi avere contatti con le mamme che assumono le pillole “del giorno dopo” (Norlevo) e dei “5 giorni dopo” (EllaOne). Non possiamo quantificare gli aborti provocati da queste pillole, sappiamo che nel 2021 sono state vendute oltre 600.000 scatole e sappiamo soprattutto che vengono prese con estrema facilità senza pensare che, se assunte nei giorni fecondi e dopo un rapporto sessuale, nella maggioranza dei casi provocano un aborto, per giunta fatto in modo clandestino, che era quello che i radicali volevano combattere.
Per concludere, possiamo affermare che gli aborti non sono diminuiti, che le donne sono sempre più lasciate sole nel momento della scelta e che il bambino non nato non viene difeso perché per la cultura dominante non esiste.
Che fare dunque?
Dobbiamo contrastare la cultura della morte che si è andata diffondendo in questi anni e ricostruire la cultura della vita. Dobbiamo affermare che tutti noi siamo stati embrioni e siamo stati liberi di nascere.
La 194 ha creato una cultura mortifera
Come tutti sanno, nell’aprile scorso, l’Europarlamento ha chiesto il “diritto” di aborto nella Carta Ue, affermando che «ognuno ha il diritto all’autonomia decisionale sul proprio corpo, all’accesso libero, informato, completo e universale alla salute sessuale e riproduttiva e a tutti i servizi sanitari correlati senza discriminazioni, compreso l’accesso all’aborto sicuro e legale». Si parla dunque del corpo della donna, senza far riferimento al corpicino del bambino che già c’è dal concepimento. La scienza lo certifica da anni, ma si fa finta di niente. Del diritto alla vita dei più piccoli non si osa parlare.
Oggi il popolo della vita, per migliorare la cultura menzognera in cui siamo tutti immersi, deve da una parte continuare ad aiutare le mamme con gravidanze difficili a scegliere la vita del loro bimbo, dall’altra fare rete, essere unito nel proclamare con più coraggio, che l’aborto procurato è l’uccisione di un essere umano nella fase iniziale della sua esistenza e che la sua difesa è un dovere non solo dei pro-life, ma di tutti, se si vuole una società più umana e vera, capace di accogliere i suoi piccoli.
Prof. Eleonora Granata Pro-life insieme, volontaria del Centro di aiuto alla Vita di Busto Arsizio
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