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Il racconto

VAI BELLO

MAURO DELLA PORTA RAFFO - 26/09/2024

cavalliEra il tipo che se due cavalli arrivavano in lotta sul traguardo, tirando fuori di tasca il valsente, ti veniva a dire “Ha vinto quello allo steccato. Te la giochi?”
Non ne lasciava andare una, insomma.
Giorgio sosteneva che una volta avesse scommesso su quale tra due gocce di pioggia sul vetro di una finestra sarebbe scesa più velocemente in basso.
E lo lasciavo dire, anche se sapevo perfettamente che quella era una battuta di Ring Lardner.
Come si chiamava, chiedi?
Mah…
Quasi nessuno in sala era questo o quel tale.
I soprannomi contavano, a farla buona.
Il suo era Vaibello – tutto attaccato alla pronuncia – per via dell’incitamento cosiffatto che lanciava al cavallo puntato quando, al largo, lo vedeva venire.
Lo aveva gridato forte in agenzia anche la volta che, dalla cronaca, pareva che Marvina stesse per farcela, prima che le scoppiasse il cuore e morisse sul palo.
La volta che, siccome comunque la cavalla lo aveva passato il filo, pretendeva gli fossero pagati vincenti e piazzati nulla significando per lui i regolamenti, in casi del genere avversi.
Non che la faccenda fosse stata dimenticata.
‘Se gli capita ancora, meglio stargli lontano’, era quello che, facendo le corna, aveva detto Giorgio.
Era da quel momento uno dei ‘sorvegliati’ il Vaibello.
Uno tra quelli in odore di portasfiga.
Uno di quelli che ancora una e vengono ostracizzati.
Poi, un giorno, alle Bettole, uscendo dalle giocate, ecco un mancamento.
Si accascia.
Tutti attorno per dargli una mano, noi.
Giorgio che è grosso e forte come un armadio lo carica e mette seduto sulla panchina a destra.
Ci vuole una buona mezz’ora perché si riprenda.
A sera, al bar:
“Non lo voglio più vedere, il Vaibello.
Per stargli appresso, ho mancato la quinta e Raimondo di Pennaforte ha vinto.
Volevo giocarci la casa…”
È amareggiato, Giorgio.
Profondamente.
Non dico niente.
So cosa vuol dire aver perso un’occasione.
Il dolore…
Soffro con lui.

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