Si riparte, ma i trend economici della provincia di Varese non sono brillanti. In particolare nell’industria, settore che nella provincia prealpina conta più che altrove. Ai primi di agosto, mentre molti si preparavano alla partenza per le ferie, Camera di Commercio e Confindustria Varese ha segnalato trend per il secondo trimestre, che confermavano i segnali di frenata già indicati nei primi tre mesi dell’anno.
Mentre a livello nazionale, l’Istat segnalava una crescita a fine giugno dello 0,2 sul primo trimestre dell’anno e dello 0,9% sull’anno precedente, con valori positivi per i servizi ma negativi per agricoltura e industria, in provincia di Varese il barometro segna un peggioramento che riflette proprio la forte componente manifatturiera.
L’Ente camerale parla di “economia in frenata, pur resiliente”. Insomma: c’è vento, ma non tempesta. Gli indici, ottenuti sulla base delle risposte fornite da un campione di 276 aziende industriali e artigianali. Nel secondo trimestre l’indice complessivo delle risposte è negativo per il 2,2% per le imprese industriali e positivo del 2,2% per quelle artigianali. Per il futuro tre aziende su quattro si aspettano un terzo trimestre stabile o in crescita: cauto ottimismo, insomma, benché in lieve calo rispetto a tre mesi prima. Molto dipenderà dall’export, che, sempre secondo gli uffici camerali, contribuisce al 49% del fatturato delle aziende industriali e al 7,3% di quelle artigianali. Qui, le preoccupazioni, come intuibile, sono soprattutto per gli ordini dal mercato tedesco.
Più preoccupato il quadro da parte di Confindustria Varese. Qui, mentre quasi il 40% delle imprese intervistate nel campione dell’indagine, indica una stabilità della produzione, il 24,8% parla di aumento della produzione e il 35,4% indica invece un calo. Per il trimestre in corso (luglio-settembre) il 22,4% delle aziende prevede un aumento e il 30,8% una flessione.
Se si passa agli ordini, quasi il 30% indica una stabilità (il 36% per gli ordini esteri), mentre il 32% indica un aumento (28,5% estero) e il 38% una diminuzione (saldo meno 6,0%).
Come interpretare i dati? Ricordiamo che non si tratta di variazioni dei volumi di produzione o di ordini, ma di percentuali di risposte (“più” o “meno” o “stabile”), a prescindere dai rispettivi quantitativi, quindi i numeri vanno presi con prudenza, come “direzione del vento”. A integrarli arrivano però i dati della Cassa Integrazione, che confermano per il secondo trimestre un aumento delle ore di CIG ordinaria autorizzate del 52% rispetto all’anno prima e del 12,4% al trimestre precedente (già in frenata) e di tutte le forme di CIG (ordinaria, straordinaria, in deroga) rispettivamente del 49,5 nel trimestre e del 42,5% nell’anno. Sempre per Confindustria, nel complesso dei comparti, se per lo più si può parlare di “stagnazione”, un vero calo si avverte per il settore gomma-plastica e per il chimico farmaceutico, settori in cui la provincia di Varese è tra le prime in Italia.
Se questo è il quadro fotografato da Confindustria Varese, condizionato dallo scenario nazionale e internazionale (quindi l’export), le attese per sono riposte soprattutto sull’entrata in vigore dei provvedimenti si sostegno degli investimenti. “Finalmente – si osserva nei corridoi del terzo piano di Piazza Montegrappa – sono usciti i decreti attuativi del Piano d Transizione 5.0”, un piano che mette a disposizione per il 2024-2025 6,3 miliardi per la digitalizzazione e l’efficientamento energetico, Il tempo stringe, ma intanto restando problemi di fondo.
Primo: un assetto molto, troppo, orientato al manifatturiero: In provincia di Varese l’industria in senso stretto pesa per il 30% del PIL, contro il 23,% regionale e il 20,2% nazionale (un altro 5-6% si deve invece al settore costruzioni). Così, se l’industria ha il raffreddore, tutto il “corpo” ne soffre, mentre ormai da tempo lo sviluppo avviene soprattutto sui servizi.
Secondo: la forte polverizzazione produttiva. Non è vero che “piccolo è bello”, perché 65 mila aziende per 272 mila dipendenti (dati Camera di Commercio) sono troppe. In provincia quattro aziende manifatturiere su cinque (78,45) hanno meno di 10 addetti e fanno un quinto degli occupati.. La microaziende investe poco, ha meno capacità di innovazione ed esporta meno.
Terzo: abbiamo aziende che sono in larga misura “terziste”, cioè producono per altre aziende e sono meno presenti sul mercato con propri marchi riconosciuti. Si dipende molto dalle condizioni della clientela ed è ridotta la capacità di presenza sul mercato.
Tutti aspetti riconosciuti – così come il tema innovazione e specializzazione – nell’eccellente “piano strategico 2050” di Confindustria Varese, ma assai poco emersi alle recente Assemblea alla Schiranna, dove il neo-presidente nazionale Emanuele Orsini ha preferito parlare di mini-impianti nucleari da inserire in siti industriali. In una provincia che viene tirata per il collo verso il Canton Ticino e per i piedi verso Milano e rischia di cullarsi sulle glorie passate, il futuro passa per questi temi.
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