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Editoriale

EX AVANGUARDIA

MASSIMO LODI - 20/09/2024

Quand’eravamo all’avanguardia. Cent’anni fa l’inaugurazione della Milano-Varese, autostrada dei laghi. La prima al mondo con pedaggio da pagare e scorrevolezza garantita. Piero Puricelli, ingegnere e conte di Bodio Lomnago, lancia l’idea, un gruppo d’ardimentosi la raccoglie, il sogno diventa rapidamente realtà. Rapidamente è l’avverbio giusto: in quindici mesi, lavori iniziati e conclusi. Battesimo dell’opera col re Vittorio Emanuele III. Un brivido d’orgoglio a guardare nello specchietto retrovisore della nostra storia, un brivido di sgomento a scrutare nelle vicende successive. Specialmente in quelle degli ultimi decenni: ciò che allora si realizzava in anticipo sul previsto, ora si materializza in ritardo -in fortissimo ritardo- a motivo d’un logorroico/logorante indugiare. Per dire: un quarto di secolo, forse più, necessario a dar vita alla Pedemontana.

L’autolaghi nacque in una contingenza di fervida laboriosità. Varese che primeggia grazie allo sviluppo industriale, al fiorire del commercio, all’affermarsi del turismo. Varese che è servita da una rete d’infrastrutture ferrotramviarie fitta come da nessun’altra parte in Italia. Varese che è meta di visitatori incuriositi e interessati perché modello di territorio organizzato da copiare. Varese che corrisponde al verdetto espresso dal Leopardi nell’Ottocento, “la Versailles di Milano”; capisce l’opportunità del collegamento con la grande città; investe genialità, risorse, entusiasmo nell’impresa di valenza economica, culturale, sociale. Varese che desta meraviglia, non per sua esagerata boria, ma per giudizio degl’inviati di numerosi giornali europei: vengono qui, prendono nota, raccontano, si complimentano.

La nostra identità più carica d’orgoglio data dal primo ventennio novecentesco, e l’avveniristica via di comunicazione con il capoluogo lombardo fu uno dei simboli. Poi, nel dopoguerra, l’equivoco sul significato di modernità con la rimozione delle funicolari, l’abbattimento dello storico teatro, la rinunzia alla vocazione di sito vacanziero. E, insieme, la riluttanza paradossale a essere contemporanei per davvero, non avvertendo l’urgenza d’adeguarsi alle esigenze che cambiavano. Quelle viabilistiche, innanzitutto. Un’autostrada che finiva nel centro urbano era un nonsenso da rimuovere, ma nonostante pareri illuminati in proposito, non lo si rimosse com’era possibile. No alla copertura dell’area delle Ferrovie dello Stato, no a un megaparcheggio sovrastante i binari, no alla direttrice che avrebbe lambito le vie Piave, Magenta e Casula indirizzandosi nella zona est, sul viale Belforte. No al buonsenso e al pragmatismo. No a una corretta visione di progresso. No a una forte azione di lobbismo politico-territoriale per ottenere i finanziamenti indispensabili.

Da un certo momento in poi il presente è apparso inadeguato al passato. Ha balbettato sul futuro. S’è impigrito e disimpegnato. Ha perduto cognizione delle radici, del vincolo d’appartenenza, della memoria. S’è scordato di che cos’era Varese e non ha saputo (voluto) dire come sarebbe dovuta essere. Gli avevano tracciato una strada precisa (e che strada) e non vi ha assicurato un séguito materiale e spirituale. Che delusione, quel presente durato oltre mezzo secolo, fino a quando -dal 2016 in poi- si è ripreso a dargli dignità rivalutando la speranza racchiusa nella città/cantiere. Oremus.

Ps

Varese ha fatto male, Milano -intesa come capitale lombarda- peggio. Stiamo ancora aspettando il promesso metrò, che doveva consentire il dimezzamento dei tempi di viaggio ferroviario tra le due città.  Un autogol che séguita a penalizzare l’autolaghi.

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