Nella notte tra il 29 e il 30 luglio a Terno d’Isola (Bergamo), Moussa Sangaré, ventiduenne italiano figli di genitori originari della Costa d’Avorio, mentre vagava in bicicletta armato di coltelli, ha afferrato e ucciso a coltellate Sara Verzeni, una passante scelta a caso. Fermato dai carabinieri ha dichiarato “Ho avuto un raptus improvviso. Non so spiegare perché sia successo, l’ho vista e l’ho uccisa”. E di quanto è successo si è detto “dispiaciuto”.
Il 2 settembre a Paderno Dugnano (Monza e Brianza), un diciassettenne di famiglia agiata, italiano di nascita e di famiglia, ha ucciso a coltellate padre, madre e fratello minore dodicenne. Il suo avvocato difensore ha riferito che il ragazzo ha detto a chi lo interrogava che covava da tempo un “disagio” nei confronti della sua famiglia “, ma il pensiero di uccidere i familiari l’ha maturato quella sera”. Il ragazzo si è detto “molto dispiaciuto” di ciò che ha fatto.
I due delitti, efferati al di là di ogni possibile immaginazione, ed avvenuti tra l’altro a breve distanza di tempo e di spazio l’uno dall’altro, sono in questi giorni al centro di commenti disparati di politici e di psicologi.
Sorprende invece che per lo più non si stia cogliendo il nocciolo della questione, che consiste nel grande vuoto educativo in cui trascorre la vita di un gran numero di giovani di oggi. Beninteso, i delitti di Terno d’Isola e di Paderno Dugnano sono due casi estremi e come tali dovranno essere giudicati, ma casi estremi del genere diventano possibili solo nel quadro della palude di una certa “normalità” a causa della quale la situazione dei giovani figli di immigrati e quella dei giovani figli di autoctoni (magari anche di ricca famiglia) è in sostanza più o meno la stessa. I primi si lasciano fatalmente alle spalle la tradizione da cui provengono, senza poi trovare nulla nell’ambiente giovanile autoctono cui approdano; i secondi sono sempre più spesso figli di genitori educativamente muti, che non sanno più spiegare e quindi trasmettere i valori su cui magari la loro vita ancora si fonda. Nell’ambiente giovanile questi due vuoti si sommano per venire poi riempiti dal turbine informe dei messaggi dei «social», in cui un fiume di sciocchezze, di falsità e di informazioni senza contesto scorre insieme ad un rigagnolo di notizie utili e autentiche (che soltanto chi è esperto riesce, e non sempre, a cogliere). Non deve sorprendere che da questa massa di sbandati possono anche talvolta sbucar fuori assassini come quelli di cui si diceva.
L’unica realistica risposta a questo stato di cose è la mobilitazione non tanto della politica, che può fare ben poco, non tanto della scuola statale che, malgrado le sue grandi dimensioni, è in condizioni tali che può fare pochissimo, quanto della società civile, delle famiglie, delle persone, della Chiesa. Bisogna avere il coraggio di rimettersi ad educare, ossia a spiegare ai più giovani ciò che di meglio abbiamo imparato dalla vita; è una cosa che può fare qualunque genitore, qualunque nonno, anche se non è professore. Non si deve attendere che glielo dicano lo Stato o i «social», i quali per natura loro non hanno niente da dire al riguardo.
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