E adesso? Dove finirà l’ex ministro Sangiuliano ora anche indagato? Il terzo dimissionario del governo Meloni (dopo i sottosegretari Augusta Montaruli e Vittorio Sgarbi) ripete che vuole essere dimenticato, ma per il figliol prodigo è pronto un paracadute da direttore di telegiornale in Rai. “Tornerò al mio lavoro nell’azienda dove sono cresciuto, ma non chiedo un posto di rilievo”, aveva timorosamente annunciato dopo aver rassegnato le inevitabili dimissioni. Certo non potrà essere un posto da soldato semplice. Con quale ruolo allora? E al posto di chi?
Sangiuliano è stato direttore del Tg2 dal 2018 al 2022 e per entrare nel governo si era messo in aspettativa. Ora il problema è fargli spazio senza alterare i delicati equilibri tra i partiti della maggioranza. Potrebbe sostituire Alessandro Casarin alla direzione della Tgr, il telegiornale regionale di Rai3 che è territorio della Lega e c’è il rischio di fare uno sgarbo al vicepremier Matteo Salvini. A meno che il Capitano venga compensato con la nomina di Casarin nel consiglio di amministrazione della Rai che libererebbe la poltrona al Tgr.
Il tema del rinnovo del Cda scaduto da mesi è di strettissima attualità e la politica è in fibrillazione. In questi giorni si discute come rinnovare l’assetto del servizio pubblico radiotelevisivo che come tutti sanno condiziona il sistema dell’informazione e orienta l’opinione pubblica in base a come presenta i risultati del governo. Il Senato e la Camera devono votare quattro componenti del consiglio d’amministrazione, due per la maggioranza e due per l’opposizione, poi l’esecutivo dovrà indicare il presidente e l’amministratore delegato, come prevede la criticabile riforma introdotta nel 2015 dal governo Renzi. I dipendenti dell’azienda hanno invece già nominato il settimo consigliere, Davide Di Pietro.
Sarà l’ennesimo Cda partitocratico? Il Media Freedom Act ratificato dal Parlamento europeo ha chiesto di assicurare autonomia e indipendenza al servizio pubblico rivoluzionando i criteri di nomina, ma nel 46° Paese della classifica mondiale per la libertà di stampa rischia di essere una pia illusione. I partiti della maggioranza, concordi nel proposito di orientare a destra la narrazione della tv di Stato, si contendono i posti-chiave di amministratore delegato, di presidente, di direttore generale e i ruoli non meno importanti di direttore di testata, degli Approfondimenti, del Day Time ecc. Il mercato annuale è cominciato. Eppure basterebbe nominare al vertice della Rai un nome di garanzia per tutti, ad esempio quello di Giovanni Minoli. È fantascienza sperarlo?
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