I populisti hanno un problema di classe dirigente. Raccolgono facile consenso, gli riesce difficile rispondere all’investitura con rappresentanti autorevoli. Un problema noto anche prima del caso Sangiuliano. Era già accaduto in “parrocchie” diverse da Fratelli d’Italia: prima nella Lega e poi nei Cinquestelle. Bottino elettorale pieno, molti vuoti alla ricerca del personale adatto a dar voce agl’italiani. Una volta le scuole di partito formavano i cosiddetti quadri, ne guadagnava lo spessore della politica che sapeva -non sempre, ma di frequente e al netto di amichettismi sempr’esistiti- indicare le persone adatte a ricoprire ruoli importanti. Non è più stato così dal finire della Prima Repubblica, quasi alla metà degli anni Novanta. Allora s’iniziò l’epoca della prevalente improvvisazione, chiunque poteva essere in grado di svolgere qualsiasi compito. Sono seguiti risultati pessimi. Tanto da dover ricorrere in alcune emergenze ai tecnici in assenza d’alternative valide, salvo poi demonizzare i non votati dalla gente. E però indicati da un disperato Parlamento.
In numerose circostanze vien preferita la fedeltà alla competenza. Errore banale/devastante: si ritorce su chi lo commette. L’incapace che non corrisponde alle aspettative fa un danno all’istituzione capitatagli in sorte, e a pagarne le conseguenze non è solo chi l’ha nominato, ma l’intera comunità cui è stato chiamato a dare un contributo di qualificata amministrazione. Non basta vincere nelle urne, bisogna essere preparati a vincere dopo. Cioè giocare con successo il match della governabilità. Le scuole di partito insegnavano a insegnare: a quelli che ne uscivano erano dati in consegna gli strumenti conoscitivi per non fallire le scelte degl’incaricati a sovrintendere a settori vari. Dai più piccoli Comuni sino all’esecutivo di Palazzo Chigi. Bisognerebbe rivalutare ciò che l’epoca del tutti a casa, dei sono ladri e basta, del vaffa, dell’uno vale uno liquidò senza disporre di un’opzione diversa/valida. Non basta alla supplenza l’associazionismo che, quando d’un buon livello, svolge la funzione di pre-partito o partito-riserva.
Oggi la questione ferisce la destra, ma neppure la sinistra è risultata indenne da lesioni. Pur se ha espresso personalità istituzionali e manager di enti partecipati dallo Stato d’un rango mediamente apprezzabile, e ha proposto cadute di stile d’una goffaggine imparagonabile a quella che ha riempito le cronache negli ultimi quindici giorni. Anzi, degli ultimi due anni. Occorre la rivalutazione del sistema partitico nel suo insieme, oppure sostituirlo (ma con che cosa?); e occorre specialmente smetterla d’innescare campagne denigratorie che si tramutano, presto o tardi, in autogol.
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