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Andateci

COPPIA DI MAESTRI

SILVANO COLOMBO - 19/07/2024

sangiorgioLa seconda testimonianza barocca che è in San Giorgio di Biumo Superiore, a Varese, è un monumento affrescato, ovvero una costruzione di pennello.

Monumento resta pur sempre perché, etimologicamente parlando, è un’operazione nata per ammonire, per fare memoria di qualcosa. Solo che noi siamo abituati a vedere nel monumento qualcosa che possiamo toccare, nel quale inciampare. Qui, invece, l’illusionismo barocco, ci proietta in una dimensione scientificamente corretta, perché l’architettura dipinta rispetta le regole proprie del costruire, ma annienta la volta della chiesa e la traveste in uno spazio nel quale non volano uccelletti spauriti entrati dalle finestre contro i cui vetri battono ripetutamente la testolina, ma soltanto santi, angeli e la Madonna.

Questa visione dovrebbe rassicurarci di essere saliti in paradiso senza aver troppo penato e peccato. Forse questo è un viatico affrescato che ci induce a riflettere sulla nostra esistenza e ci permette di tornare a casa rasserenati perché abbiamo visto la Madonna o i santi ai quali, forse, siamo devoti, determinati ad insegnare la strada anche ad altri.

Gli autori di questo prodigio sono il pittore di architettura, il varesino Giuseppe Baroffio, ed il pittore di figure Pietro Antonio Magatti, anch’egli varesino, che qui lavorarono tra il 1725 ed il ‘26.

Qualche considerazione. Il progettista è l’architetto; il pittore di figure collabora ma entra ad occupare gli spazi che gli vengono concessi e, come in questo caso, fatica a dimostrare l’illusoria levità del cielo e la sua profondità, dimostrando figure assestate come se fossero sulla superficie di una pala d’altare e non avvitate, in scorcio, dal sotto in su.

Per dirla altrimenti, Magatti, che pure è splendido autore del barocchetto milanese, come del resto il suo collega Giuseppe Antonio Petrini di Carona, non ama scorciare ma avere di fronte il soggetto e renderlo con somma maestria da seduto e non in turbinante moto di visione a salire.

Ancora di più: il vero e proprio artefice barocco, o, visto i tempi maturi, barocchetto, è il Baroffio.

Egli è seguace del pittore padre Andrea Pozzo, inventore ed autore del trasfigurato spazio della volta di Sant’Ignazio a Roma, operazione condotta a buon fine tra il 1691 ed il ‘94.

In Varese è sua l’altra trasfigurata esperienza della volta nella chiesa di Sant’Antonio alla Motta, dove ebbe per collaboratore di figure il cabiagliese Giovanni Battista Ronchelli (1756).

La seconda è di una banalità sconvolgente: il pittore Baroffio è in piedi sull’impalcatura, pennello intriso di colore, che dipinge velocemente per non fare seccare l’intonaco fresco, che viene steso giornata per giornata (da cui pittura a fresco-affresco), seguendo il disegno marcato e battuto con ocra rossa.

Non vi perdereste nel divagare da una modanatura all’altra, ricciolo dietro cartoccio, per poi scendere dall’ultimo assito dell’impalcatura e valutare la correttezza, la proprietà, la persuasiva sequenza delle forme inventate, ed accorgervi che qualcosa non è riuscito a puntino? Non parliamone, poi, di quando, tolto il ponteggio, da terra, naso all’insù, si deve valutare l’effetto e compiacersi di aver condotto a termine una costruzione perfettamente falsa. Altrimenti? Risalire sui ponteggi e combinare perfettamente volute, cartocci, modanature facendo stendere dal maister l’intonaco della giornata e confidare di averla fatta franca.

La perizia del Baroffio e di altri suoi colleghi è a prova di verità, quella che quando entriamo in San Giorgio, lasciando fuori il breve sagrato pieno di luce, avvertiamo il misterioso e silente spazio della chiesa e ci si scoperchia il cielo sopra la testa.

Non è del barocco il fin la meraviglia?

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