Non è che a organizzare gli Expo fila sempre tutto liscio. E si va d’amore e d’accordo. E non spuntano protagonismi, recriminazioni, invidie. Varese diede prova d’insistita litigiosità quando le toccò realizzare, essa sola senza alcun’altra partecipazione, il grand’evento. Che terminò comunque in gloria, ma dopo aver proposto momenti ingloriosi.
Nel gennaio del 1901 vennero messi a punto i due comitati, il primo generale e il secondo esecutivo, incaricati di promuovere l’Esposizione universale, che si sarebbe tenuta nell’estate successiva facendo seguito alle due precedenti, svoltesi nel 1871 e nel 1886. Furono il sindaco Gerolamo Garoni, il presidente della Camera di Commercio Enea Torelli e il presidente del Consorzio agrario Giuseppe Speroni a firmare la circolare istitutiva. Ma subito s’accesero le polemiche tra repubblicani e moderati. I primi accusavano i secondi -forza di maggioranza nell’amministrazione municipale- di voler monopolizzare le nomine d’entrambi gli organismi, che (già allora) denunziavano una singolare pletoricità: ventuno i componenti del comitato esecutivo, addirittura centotrentatré quelli del comitato generale. Poltrone cui ambivano imprenditori, professionisti, commercianti, esponenti di varie categorie socioeconomiche, oltre naturalmente ai rappresentanti della folta (è sempre stata folta) classe politica.
Tutti se la prendevano con tutti, affermando di volere il bene della città. Ma il confronto buttò male, al punto di volgersi in rumorosa frattura. Finì che i repubblicani, o comunque quanti simpatizzavano per l’area radicale avversa al conservatorismo, lasciarono con sdegno i pochi posti loro riservati. Se ne andarono personalità di lustro (così di lustro da meritarsi una successiva intitolazione di strade) come Ferruccio Bolchini, Giulio Macchi, Rinaldo Arconati, Federico Della Chiesa. Nonostante questo, l’iniziativa riuscì a decollare, articolandosi in nove settori: industrie estrattive; industrie chimiche ed affini; industrie meccaniche; industrie manifatturiere; economia rurale, orticola, forestale e zootecnica; previdenza ed assistenza pubblica; didattica; arte antica, storia ed arti industriali; sport.
L’11 agosto, a inaugurare gli stand (chiamati “gallerie”) distribuiti ai Giardini Estensi di fronte al palazzo di Francesco III, vennero il Duca degli Abruzzi e il ministro Prinetti. La chiusura si celebrò il 20 ottobre. Dire si celebrò non è un’esagerazione: il successo fu tale da ricomporre i dissidi e perfino il “Cacciatore delle Alpi”, giornale dei repubblicani, arrivò a scrivere che “…il parterre, il toboggan, il caffè-ristorante sono sempre affollati da una popolazione gaia e multiforme; e il recinto dell’Esposizione può ben dirsi che sia stato tramutato, per opera del solerte Comitato, in vero paradiso terrestre, eden di delizie spirituali e di morale conforto”.
In memoria di quel casereccio paradiso, Varese potrebbe dedicare una mostra d’immagini rievocative al suo lontano Expo, passato dai sofferti triboli locali alla meritata ribalta nazionale. Essa fece conoscere nome e prodotti bosini, conquistando nuovi mercati, lanciando il turismo verso un’irripetibile epoca d’oro, innalzando la nostra terra a un rango poi perduto. Ricordare, più che una possibilità, appare un dovere.
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