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Economia

LE STRADE DEL LAVORO

GIANFRANCO FABI - 19/07/2024

superbonusNegli ultimi dieci anni, iniziando dal bonus di 80 euro deciso da Matteo Renzi, più o meno tutti i Governi dei più vari colori che si sono succeduti a Palazzo Chigi, non hanno resistito alla tentazione di affrontare i problemi (e all’illusione di risolverli) erogando soldi, garantendo sconti di imposta, moltiplicando favori e facilitazioni.

Tanti interventi sociali che hanno spaziato dalle baby sitter ai monopattini per arrivare a quell’idrovora di fondi pubblici (alla fine saranno più di 200 miliardi) che è stato il 110% che ha favorito i ricchi proprietari di case, villette e addirittura castelli a spese di tutti i contribuenti.

La politica dei bonus ha fatto da paravento alla mancanza di iniziative capaci di affrontare i problemi nella loro dimensione reale. E i bonus sono stati e sono il più delle volte legati a precisi limiti di reddito (attraverso il parametro dell’Isee che dovrebbe calcolare la ricchezza complessiva) e sono stati così almeno in parte una spinta a quell’evasione fiscale che continua a costituire uno dei più gravi problemi di gestione dei conti pubblici. C’è da chiedersi come mai per il bonus più oneroso (il 110%) non sia stato invece previsto alcun limite di reddito.

Ora di bonus ne è spuntato un altro. È partita infatti la super deduzione del 120% per le imprese che assumono personale a tempo indeterminato, uno sgravio che sale al 130% per lavoratori fragili: disabili, donne con almeno 2 figli, giovani ammessi agli incentivi sull’occupazione.

Quello del lavoro è certamente uno dei problemi sociali più gravi e dovrebbe essere salutato positivamente ogni intervento per cercare di affrontarlo. Ma anche in questo caso c’è da chiedersi se la misura migliore sia quella di dare dei soldi, come se solo il fattore economico sia alla base della crescita dei posti di lavoro.

Due considerazioni. La prima: i posti sono cresciuti negli ultimi mesi per l’andamento relativamente positivo dell’economia. La seconda: il vero problema alla base della disoccupazione è il mancato incontro tra le esigenze delle imprese e le competenze di che cerca lavoro. Se un’impresa ha bisogno di un autista lo assume anche senza bonus, se ha bisogno di un tecnico per la sicurezza informatica e non lo trova non c’è bonus che possa aiutarla.

I posti di lavoro potenziali non mancano. Gli ultimi dati Unioncamere sottolineano come nel primo trimestre del 2024, l’Italia abbia registrato 1,4 milioni di posti di lavoro disponibili, con un tasso di copertura delle posizioni aperte pari solo al 50%. Questo significa che circa 700mila posti di lavoro non sono stati coperti, principalmente a causa della mancanza di figure professionali adeguate.

In provincia di Varese il quadro è lo stesso: l’analisi della Camera di commercio parla di 205 mila uomini e 168mila donne, inseriti nel mondo del lavoro, con un tasso d’occupazione risalito dal 64,7% al 66,2%. Ma non tutti i posti disponibili vengono coperti. Per ben il 40% delle posizioni ricercate, le imprese dichiarano infatti di non riuscire a reperire sul mercato del lavoro le competenze di cui hanno bisogno. Una difficoltà legata alla mancanza di candidati (19,1%), ma anche all’inadeguatezza della loro preparazione (16,7%) quanto a flessibilità, adattamento, capacità di lavorare in gruppo.

Quando le imprese vorrebbero assumere, ma non riescono, significa che non abbiamo bisogno di altri bonus e incentivi. Una volta si diceva: se il cavallo non beve è inutile aggiungere acqua alla fontana.

Per il lavoro sarebbe necessario agire sul fronte della scuola e della formazione, dell’orientamento e dei servizi all’impiego: tutte cose che richiedono tempi lunghi e che non pagano a livello di consenso elettorale.

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