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Chiesa

LA SFIDA

SERGIO REDAELLI - 12/07/2024

papaviganoCarlo Maria Viganò ha reagito alla scomunica alla sua maniera, contrattaccando: “Ciò che mi è imputato come colpa è ora messo agli atti a conferma della fede cattolica che integralmente professo”, ha dichiarato pubblicamente. Poi ha celebrato messa e ha chiesto offerte per la Fondazione Exurge Domine che egli stesso ha creato, spiega, per assistere i religiosi perseguitati a causa della loro fedeltà alla tradizione: “Invito tutti a unirsi a me nella fiduciosa preghiera al cuore immacolato di Maria, affinché il Signore conceda alla Santa Chiesa di trionfare ancora sui suoi nemici che la eclissano e usurpano la sua sacra autorità”. Un atteggiamento provocatorio che rischia di determinare un’ulteriore sanzione, essere ridotto allo stato laicale.

È proprio ciò che accadde al cardinale americano Theodore McCarrick che nel 2019 fu spretato da Bergoglio per avere commesso abusi sessuali mentre Viganò sosteneva che il papa ne avesse coperte le responsabilità e che per questa ragione dovesse dimettersi. Ora Viganò è domiciliato in un luogo sconosciuto. Irreperibile. Così risulta nell’atto processuale con il quale l’ex Sant’Uffizio guidato da un fedelissimo di Francesco, il cardinale argentino Victor Fernández, gli ha comminato la scomunica latae sententiae, conclamata a causa delle dichiarazioni pubbliche rese dall’83enne presule varesino. Potrebbe trovarsi nell’eremo di Sant’Antonio alla Palanzana nel Viterbese che ospita la Fondazione o nel rifugio di San Bernardino in Svizzera.

Sulla vicenda si cominciano a sollevare dubbi come accade sempre in Italia dopo una sentenza. C’è chi protesta: troppa severità, quello di monsignor Viganò è uno scisma da operetta rispetto alle ribellioni di un Lutero, di un Lefebvre o di un Enrico IV pentitosi a Canossa. E perché tanta fretta? L’arcivescovo è stato scomunicato a tempo di record “in due sole settimane”, tuonano i giornali che a suo tempo si batterono in difesa del cardinale Angelo Becciu, condannato a 5 anni e 6 mesi per peculato dalla giustizia vaticana. Altri lanciano slogan: “Scomunicateci tutti”. Nel migliore dei casi, si obietta, la scomunica rischia di riaccendere le divisioni interne alla Chiesa.

Contestare l’autorità è la moda o per qualcuno la malattia dei nostri tempi. Lo stesso ex nunzio a Washington ne è l’emblema con i giudizi tranchant espressi a ripetizione su Bergoglio – usurpatore, eretico, falso profeta, servo di Satana – mentre al papa dovrebbe invece obbedienza. Il dogma dell’infallibilità papale fu approvato dal Concilio Vaticano I il 18 luglio 1870, regnante Pio IX. Essa ricorre quando il papa parla ex cathedra cioè quando esercita il supremo ufficio di pastore e di dottore di tutti i cristiani, chiarì Woytjla nell’udienza generale del 24 marzo 1993. Il supremo potere di magistero pone il pontefice al di sopra della Chiesa, un dogma all’epoca fonte di forti contrasti: “Una pagina drammatica ma non per questo meno chiara e definitiva”, commentò a suo tempo Paolo VI.

Era corsa voce nelle scorse settimane che l’alto prelato varesino avesse intenzione di farsi riconsacrare in caso di scomunica da Richard Williamson, il vescovo negazionista dell’Olocausto che fu ordinato dallo scomunicato Marcel Lefebvre e che poi subì la stessa sorte. Forse la vera ragione che ha indotto il Dicastero per la dottrina della fede a emettere la condanna è diffidare il mondo cattolico ultra-tradizionalista dallo sposare tesi al limite del tollerabile come quelle del complottista Viganò. Secondo il quale l’elezione di Francesco dopo la rinuncia di Benedetto XVI non è valida, di conseguenza la Santa Sede è da undici anni senza guida (tecnicamente sede vacante) ed esiste una falsa Chiesa sinodale nata dal Concilio Vaticano II guidata da laici ed ecclesiastici massoni.

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