Tutto sommato, in Gran Bretagna e Francia, chi ha vinto è la democrazia. La libertà di scegliere la propria rappresentanza politica. Han perso gli autocrati, quelli che non solo tifavano per un esito diverso, ma hanno brigato perché tutto questo non accadesse e quando han visto che le loro aspettative sarebbero andate deluse, si son così indispettiti, da sentirsi in dovere di fare la paternale al sistema elettorale francese “Il secondo turno [del sistema elettorale francese], a quanto pare, è stato concepito proprio per manipolare la volontà degli elettori durante il primo turno, quando alcuni candidati possono ritirare le loro candidature, essere persuasi a spianare la strada per sconfiggere, come si suol dire, conservatori o populisti, e questo non somiglia molto alla democrazia”(Ansa 7.7.24). Con queste parole Sergej Lavrov, ministro degli affari esteri russo, ha liquidato le elezioni francesi, permettendosi – proprio lui! – di dare lezioni di democrazia (è di queste ore il bombardamento a Kiev di un ospedale pediatrico). Non c’è che dire!
Le elezioni in Inghilterra hanno completamente ribaltato il quadro politico che conoscevamo da tempo. Il Labour era all’opposizione da quattordici anni, durante i quali il paese, contando sul suo profondo attaccamento alla tradizione, è stato indotto a voltare le spalle all’Europa e a votare la Brexit. Comincia tutto nel 1993, quando s’inizia a parlare dei vantaggi che avrebbero avuto gli inglesi ad abbandonare il continente. Si magnificavano meno tasse (e ti pareva!), meno vincoli per le alleanze commerciali, meno versamenti ai bilanci UE e meno migranti. Un Eden stracolmo di dolci prospettive, ma completamente irreale, privo di fondamento. A soli quattro anni dal divorzio (2020), gli inglesi si sono accorti che eran solo falsità. In breve tempo, han perso 1,8 milioni di posti di lavoro. Le tasse sono aumentate e i prezzi sono andati alle stelle. Sono calati PIL ed export. Il potere d’acquisto dei salari è sceso di 2000 sterline l’anno (Gabbanelli, 1.7.24). Il voto di pochi giorni fa è la risposta della gente a tutto questo. Anche se quella di Starmer, il nuovo premier inglese, non è una vittoria travolgente come si vorrebbe far credere. Lo ha votato solo un elettore su tre e ha preso il 33,8% dei voti contro il 32,1% di qualche anno fa, di Jeremy Corbin, leader del partito Laburista dal 2015 al 2020. La differenza l’han fatta il sistema elettorale maggioritario uninominale a turno unico e la frammentazione del sistema politico anglosassone, che hanno consegnato ai progressisti un considerevole numero di seggi.
Invece, le elezioni in Francia sono state un colpo di scena vero e proprio. Hanno smentito tutti i sondaggi e le opinioni della vigilia e hanno creato lo sbarramento, il barrage, che si erano ripromessi di costruire contro il Rassemblement di destra. Che ha deluso i suoi sostenitori. Non solo non è riuscito a vincere, ma è rimasto addirittura dietro al partito di Macron, il principale obbiettivo della competizione elettorale. La risposta degli elettori è stata netta. È andato a votare quasi il settanta per cento degli aventi diritto, un’enormità, dichiarando in questo modo che la gran parte dei francesi non vuole mettere il paese in mano al partito di Marine Le Pen e Jordan Bardella. Adesso, il compromesso elettorale che ha dato la vittoria al fronte di sinistra, si dovrebbe trasformare in un compromesso di governo. Un processo affatto scontato. Speriamo che il presidente francese smentisca tutti anche stavolta e, cioè, che riesca ad evitare il caos istituzionale, l’ingovernabilità, che queste elezioni avevano fatto temere quando sono state indette. Mentre stiamo scrivendo, Macron ha respinto le dimissioni di Gabriel Attal, primo ministro francese, in attesa di trovare un’intesa con gli altri soggetti politici che hanno vinto le elezioni. Una situazione inedita per la Francia. Perché il suo sistema semi-presidenziale fu progettato così nel 1958, «nell’intento di mettere fine al regime dei partiti», come avrebbe spiegato il generale De Gaulle, introducendo l’elezione diretta del presidente, per superare le divisioni politiche e dare al paese unità e stabilità. Adesso, invece, i partiti si dovranno parlare e quindi, forse, assisteremo ad una nuova stagione della politica d’Oltralpe, non troppo diversa da quella del nostro Paese. Sarà comunque un’iniezione di democrazia, segnata, come sempre, da salutari incertezze, fragilità e incomprensioni. Speriamo.
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